Created on 15 Aug 2022 ;    Modified on 19 Aug 2022

La recensione di Il nome della rosa

I nostri lettori diranno: "Decisamente invecchia: rilegge i libri. Prima Pattini d'argento, ora Il nome della rosa". Vero. L'avanzare dell'età spesso ci porta a rivedere e rianalizzare il nostro passato. E, nel nostro passato, anche quanto abbiamo già letto. Questo però non vuol dire che si tratti di mere ripetizioni d'esperienze già vissute.

Così come in Pattini d'argento la nostra memoria è stata a volte sorpresa dalla rilettura, analogamente possiamo dire di Il nome della rosa: romanzo storico pubblicato nel 1980 da un mostro sacro come Umberto Eco.

Riferimenti

Periodo di lettura: Giugno-Agosto 2022, recensione: Agosto 2022

Autore: Umberto Eco
Titolo: Il nome della rosa
Titolo originale: -
Sottotitolo: n.a.
Editore: 1980/216 Bompiani/RCS Libri S.p.A., Milano per il Corriere della Sera
Pagine: 624
ISBN: n.a
Prezzo di copertina: n.a.
Serie: Le raccolte del Corriere della Sera, Umberto Eco, volume I

Alcuni personaggi

  • frate Gugliemo da Baskerville, francescano, emissario dell'imperatore Ludovico di Baviera;
  • Adso da Melk, novizio benedettino, accompagnatore tuttofare di Guglielmo;
  • frate Adelmo da Otranto, miniatore benedettino, deceduto nell'abbazia benedettina cui è diretto Guglielmo pochi giorni prima del suo arrivo;
  • frate Venanzio da Salvemec, miniatore, seconda vittima;
  • frate Berengario da Arundel, aiuto bibliotecario, terza vittima;
  • frate Severino da Sant'Emmerno, padre erborista, quarta vittima;
  • frate Malachia da Hildesheim, bibliotecario, quinta vittima;
  • frate Jorge da Burgos, decano del convento.

Contenuto

Siamo nel basso medioevo, anno 1327. La situazione politica in Europa vede il potere temporale, rappresentato dall'imperatore tedesco Ludovico di Baviera, confliggere con quello religioso, capitanato da papa Giovanni XXII. Potere religioso che sua volta vede la sede papale ad Avignone, influenzata dalla Francia, e con i regni italiani che richiedono a gran voce il rientro del Papa nella sede di Roma.

A rendere il quadro più complesso, la religione cattolica vede un fermento di nuovi ordini, che predicano con forza un ritorno alla povertà. E come spesso accade, il nuovo a volte ospita frange estreme, che mirano a sovvertire l'ordine sociale per piegarlo ad un idea di utilizzo dei beni, invece del loro possesso.

Idee malviste dalla struttura ortodossa della Chiesa, se non addirittura perseguite come eretiche. Con tanto di Santa Inquisizione.

In questo contesto, il Papa convoca ad Avignone Michele da Cesena, ministro generale dell'Ordine francescano. L'imperatore profitta per cercare di ottenere l'appoggio dei francescani, inviando ad incontrare la loro delegazione Guglielmo da Baskerville, a sua volta francescano molto conosciuto. Guglielmo è stato inquisitore per un breve periodo della sua vita. Ma, sopratutto, è un erudito guidato da una insaziabile curiosità nell'osservare e capire ciò che lo circonda.

La delegazione francescana, a sua volta, deve incontrare e trattare con quella papale, al fine di ottenere la certezza che l'Ordine non venga a priori tacciato di eresia dal Papa.

L'incontro di Guglielmo e delle due delegazioni dovrà avvenire in una abbazia benedettina situata in una zona montuosa dell'Italia settentrionale.

Primo giorno

Qui inizia il racconto di Adso da Melk, giovane novizio benedettino che accompagna in qualità di tuttofare Guglielmo da Baskerville. I nostri, Adso e Guglielmo raggiungono per primi l'abbazia luogo dell'incontro. Qui l'abate, a conoscenza dei trascorsi di Guglielmo come inquisitore, gli chiede di indagare riguardo la morte, avvenuta pochi giorni prima, in circostanze misteriose, di un giovane frate miniatore: frate Adelmo da Otranto. Costui sembra essersi suicidato gettandosi da una delle finestre dell'Edificio. Maestosa costruzione, a forma di torre ottagonale, che alberga al piano terra le cucine e il refettorio, al primo piano lo scriptorium, ovvero l'ambiente dove i frati miniatori copiano e illustrano i manoscritti, e al secondo, ed ultimo piano, la grande biblioteca: al periodo una delle maggiori in Europa.

Il problema è che il fatto è avvenuto di notte, sembra senza testimoni. Ma tutte le finestre dell'Edificio sono state trovate ermeticamente chiuse, senza tracce di manomissione. Il che fa sospettare che l'evento possa essere stato un omicidio camuffato da suicidio.

Guglielmo accetta l'incarico nonostante sia proibito l'accesso alla biblioteca a tutti, salvo tre persone: l'abate, il bibliotecario e l'aiuto bibliotecario. Chi vuole consultare un libro, deve chiederne la visione al bibliotecario. Il quale, a sua volta, per un ristretto gruppo di libri pericolosi, deve a sua volta richiedere il permesso all'abate. Queste regole sono estremamente malviste da Guglielmo: spirito curioso, che ritiene il sapere debba essere diffuso, e non segregato.

Dopo di che Guglielmo incontra Ubertino da Casale, teologo francescano strenuo sostenitore della regola della povertà. Per questo motivo estremamente ben visto nel suo Ordine, ma in odore di eresia da parte del Papa.

Infine conosce il frate erborista cui è affidata la cura delle erbe medicinali e dell'ospedale: Severino. Costui accompagna Adso e Gugliemo allo scriptorium, all'interno dell'Edificio, dove i frati miniatori sono al lavoro.

Per conoscere le attività di Adelmo, Guglielmo si intrattiene con i miniatori, con il bibliotecario, Malachia, con Berengario, l'aiuto bibliotecario, ed infine con padre Jorge. Quest'ultimo è un anziano frate cieco, estremamente erudito, che si mostra subito intransigente nel troncare la discussione generata tra i miniatori nel commentare l'opera di frate Adelmo.

Secondo giorno

Il giorno successivo inizia con la macabra scoperta della morte del frate minatore Venanzio da Salvemec. Questa volta palesemente non si tratta di un suicidio: difficilmente una persona si infila a testa in giù in una grande giara piena di sangue di maiale. La presenza di tracce nella neve fa pensa che Venanzio sia morto nell'Edificio, e poi trascinato e issato nella giara.

Il successivo colloquio tra Berengario e Guglielmo chiarisce a quest'ultimo la presenza di un rapporto tra Berengario e Adelmo. Guglielmo si reca nuovamente nello scriptoriumm per analizzare i libri su cui stava lavorando Adelmo. Ma viene interrotto prima da Jorge e poi da frate Bencio, che, con la scusa di un colloquio urgente, lo fa allontanare dal tavolo di Adelmo.

I colloqui e gli indizi convincono sempre più Guglielmo che dietro le morti di Adelmo e Venanzio vi sia l'uso di un qualche manoscritto della biblioteca. Frate Alinardo, il decano più anziano dell'abbazia, svela a Gugliemo il modo per poter entrare in biblioteca durante le ore notturne, quando l'Edificio è chiuso, ed è proibito frequentarlo.

La sera stessa Adso e Guglielmo raggiungono furtivamente la biblioteca, ma il libro cercato da Guglielmo viene trafugato da un altro visitatore notturno. La successiva esplorazione della biblioteca fa sì he i nostri si perdano. Ne escono fortunosamente, ma Guglielmo comicia a farsi una idea di come sia organizzata.

Al rientro nelle loro celle, in piena notte, sono intercettati dall'abate, preccupato per l'assenza di Berengario, l'aiuto bibliotecario.

Terzo giorno

Le ricerche del frate scomparso non danno esito. E la giornata passa istruendo Adso riguardo le eresie del passato. La sera Adso entra da solo nell'Edificio, interrompendo bruscamente un incontro notturno tra un individuo e una donna. L'uomo fugge, mentre la govane donna, sorpresa quanto Adso, lo avvicina e attratta da lui lo seduce.

La notte Adso confessa il suo peccato a Gugliemo, che lo assolve. E, casualmente, mette Guglielmo sulla retta via per ritrovare Berengario, deceduto nei bagni dell'abbazia.

Quarto giorno

Berengario è affogato nella vasca dei bagni, ma l'analisi del suo cadavere, effettuata da Guglielmo e Severino, mostra la lingua e parte delle dita delle mani macchiate di nero. Gli stessi segni erano presenti nel cadavere di Venanzio. Da qui il sospetto che i due siano stati avvelenati tramite una qualche sostanza nociva. E a Severino sovviene che anni prima era scomparsa una sostanza da lui gelosamente custodita perché estremamente velenosa.

Guglielmo riesce a decifrare un enigma lasciato da Venanzio, ma comunque non ne comprende il significato. Mentre Adso individua per primo la delegazione dei frati minoriti diretta all'abbazia, condotta da Michele da Cesena. Costui è il ministro dell'Ordine dei francescani, convocato dal papa Giovanni XXII.

Guglielmo, Ubertino e la delegazione dei minoriti si riuniscono per concordare le linee da seguire nella discussione con la prossima delegazione pontificia.

Delegazione pontificia che non si fa attendere, arrivando a sua volta all'abbazia. Questa è guidata da Bernardo Gui, famoso inquisitore. Che, a differenza di Guglielmo, non si fa scrupolo di utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per condannare le persone che hanno la ventura di essere accusati durante un processo da lui condotto.

La notte Adso e Guglielmo vanno di nuovo di nascosto in biblioteca. Guglielmo ha compreso la sua organizzazione, quindi questa volta non corrono il rischio di perdersi. Ma non riescono ad accedere alla stanza che si trova al centro del labirinto: la finis Africae. Guglielmo è convinto che le morti siano legate ad un qualche manoscritto ivi custodito.

Usciti dalla biblioteca, i nostri vengono a sapere che le guardie della delegazione pontificia hanno sorpreso nella cucina dell'Edificio un frate, Salvatore, con una donna. Ad aggravare la situazione, Salvatore, ex dolciniano scampato in passato all'accusa di eresia, si è fatto sorprendere mentre è in possesso di un gatto nero e di un gallo.

Per Bernardo Gui è immediata la formulazione dell'accusa di praticare arti sataniche e di stregoneria. Salvatore viene affidato alla milizia per essere torturato la fine di confessare i suoi intenti e denunciare i suoi compagni.

Quinto giorno

La giornata inizia con un dibattito, sempre più animato, tra le due delegazioni riguardo la povertà. Al culmine della discussione, Severino avvisa Guglielmo di avere trovato nel suo laboratorio di erboristeria un libro che non gli apparteneva. Probabilmente lasciato da Berengario prima di morire nei balnea.

Severino chiede a Guglielmo di accompagnarlo al laboratorio per mostrarglielo, ma Guglienmo non può abbandonare il dibattito. Per questo chiede a Severino di rientrare al laboratorio e chiuderlo per custodire il libro sino al suo arrivo.

Purtroppo le precausioni di Severino non sono sufficienti. Viene ritrovato cadavere. E viene arrestato per il suo assassinio il cellario, frate Remigio da Varagine, sorpreso nel laboratorio dalla milizia pontificia.

La successiva ricerca di Guglielmo nel laboratorio è infruttuosa. Non trova il libro, scritto in lingua greca, che ritiene sia all'origine della catena dei delitti.

Intanto Bernardo Gui non perde tempo e organizza il giudizio per frate Remigio, che è stato accusato, sotto tortura, da frate Salvatore, di essere stato a sua volta un dolciniano, e di avere scampato insieme la condanna per eresia.

Il giudizio si conclude con la condanna di Remigio, oltre che di Salvatore, come eretici, e della donna, come strega. Tutto ciò fa precipitare gli eventi legati alla discussione tra le delegazioni. Quella papale, forte di una condanna appena comminata non vorrà più trattare. A questo punto Michele da Cesena decide di ottemperare alla convocazione papale, mentre Ubertino a sua volta decide di fuggire.

Nel frattempo Guglielmo continua ad incrociare gli indizi e capisce che frate Bencio, un miniatore, ha riconosciuto il libro scopo delle ricerche. Bencio confessa di averlo consegnato al bibliotecario, frate Malachia, in cambio dell'incarico come aiuto bibliotecario.

Sesto giorno

Durante le orazioni mattutine, spicca l'assenza del bibliotecario. Che, quando raggiunge i confratelli, colpito da malore, muore. Anche Malachia presenta la colorazione scura delle dita della mano destra.

Bernardo Gui non si lascia invischiare dal nuovo omicidio: porta rapidamente via la sua delegazione con il bottino di colpevoli che è convinto di avere arrestato.

L'abate, che a sua volta si vede investito della responsabilità di quanto sta accadendo. Quando capisce che Guglielmo è prossimo alla risoluzione dell'enigma, enigma che coinvolge i decani dell'abbazia, lo solleva bruscamente dall'incarico, per cercare di risolvere la questione tramite la propria autorità e senza sollevare scandali.

La notte Adso e Guglielmo vedono l'abate entrare nell'Edificio, per poi non più uscirne. A loro volta entrano in biblioteca e, grazie ad una osservazione di Adso che Guglielmo adatta alla loro situazione, riescono ad entrare nel cuore della biblioteca: la stanza del finis Africae.

Qui li attende frate Jorge, che ha intrappolato l'abate e tenta Gugliemo e Adso con la lettura del secondo libro della poetica di Aristotele. Libro in cui il filoso greco disserta riguardo la commedia, che istiga al riso i suoi spettatori.

Ma Guglielmo maneggia il libro con cura, indossando un paio di guanti. Perché ormai ha compreso il meccanismo con cui vengono avvelenate le persone che voglioni consultare quel testo. Jorge ha impregnato di veleno le pagine del libro. Pagine fatte in panno, e non in pergamena. Quindi più difficili da sfogliare. Il lettore è costretto a girarle umettando le dita con la lingua: avvelenandosi da solo durante la lettura.

Tutto ciò perché Jorge non può accettare che Aristotele, fondatore della filosofia, faccia l'elegia dell'allegria e del riso: armi del diavolo.

La successiva disquisizione teologica tra Guglielmo e Jorge degenera. Quest'ultimo, avvezzo a muoversi nel buio in quanto cieco, riesce a spegnere i lumi e a fuggire per la biblioteca mentre ingoia le pagine del libro pur di non permettene la consultazione. Adso e Guglielmo riescono a raggiungerlo accendendo un lume.

Ma Jorge, nella lotta che segue, tenta di spegnere il lume di Adso lanciandolo lontano, mandandolo a finire contro i libri della stanza, che prendono rapidamente fuoco.

Le ore successive sono una disperata lotta senza successo per spegnere l'incendio prima nella biblioteca e poi negli altri edifici. Incendio che, alimentato dal vento, consuma inesorabilmente tutta l'abbazia.

Impressioni

Se lo scopo di Umberto Eco era quello di farci passare in continuazione tra stati di noia infinita alternati a sprazzi di viva curiosità, ci è riuscito in pieno.

Il Nome della Rosa ha visto la luce per la prima volta nel 1980. Quando Umberto Eco era già una figura affermata nel panorama della cultura umanistica italiana. Già autore di diversi saggi a carattere storico, filosofico e linguistico, ci sembra che in questo romanzo Eco abbia tentato una ibridizzazione tra saggistica e romanzo storico.

Ibridizzazione che ha perseguito infarcendo il romanzo di disquisizioni religiose e teologiche tra i diversi protagonisti che lo popolano. Per non parlare dei dialoghi: involuti e complessi da seguire, che, ci sembra di capire, nelle sue intenzioni replicherebbero almeno parzialmente il modo di parlare e la cultura dell'epoca. E per parlare della voce narrante: altrettanto involuta, in quanto voce di un novizio benedettino dell'epoca, Adso da Melk.

Il risultato è un romanzo complesso che, come già detto, ci ha in gran parte annoiato. Se avessimo voluto leggere un saggio sulla teologia e la storia del medioevo, lo avremmo comprato, invece di cercare un romanzo. Ci potreste domandare: "per quale motivo acquistate un romanzo storico, se non vi volete calare nell'atmosfera dell'epoca?". E noi risponderemmo: "perchè ci vorremmo calare nell'atmosfera dell'epoca, non annegarvi."

E' possibile scrivere un romanzo storico senza essere legati al lessico dell'epoca in cui avvengono gli avvenimenti teorizzati dall'autore? Pensiamo proprio di sì. In caso contrario Valerio Massimo Manfredi avrebbe scritto in latino i suoi romanzi ambientati nell'antica Roma. E il Manzoni avrebbe scritto i Promessi Sposi in parte in spagnolo e in parte in volgare del 1600. E ci fermiamo qui: senza parlare di Victor Hugo e tanti altri romanzieri e storici presenti nella letteratura straniera.

Per questo motivo non condividiamo la scelta di Umberto Eco, che ha sacrificato il ritmo della storia e i ritratti dei personaggi per dare spazio a lunghe, dotte e non appassionanti elucubrazioni. Oltre all'uso di un lessico estremamente distante dal nostro.

In conclusione, un romanzo che ci ha impegnato molto, senza entusiasmarci. Non ci sentiamo di sconsigliarne completamente la lettura. Ma chi si vorrà cimentare si dovrà dotare di una buona dose di pazienza, e, in qualche caso, anche di un traduttore latino/italiano.

Enjoy. ldfa