Created on 07 Sep 2022 ; Modified on 04 Oct 2022 ; Translation: english
Sono mesi che sentiamo esponenti politici di rilievo, e non (Salvini, della Lega; Renzi, di Italia Viva; Calenda di Azione; ed esponenti di Forza Italia) [1] parlare di un rinnovato impegno per introdurre il nucleare in Italia per produrre energia elettrica.
E per farlo, adottano strategie di marketing, ovvero di pubblicità, utilizzate con sapienza per controbilanciare l'aurea di pericolosità ed impatto ambientale negativo che il nucleare si porta dietro dai tempi dell'incidente di Chernobyl e di quello di Fukushima Daiichi [2]. Da qui l'accostamento al termine nucleare degli aggettivi sicuro e pulito, pensati per diminuire drasticamete nell'ascoltatore l'eventuale repulsione istintiva suscitata dall'aggettivo nucleare.
Ora abbiamo deciso di rendere pubblico cosa ne pensiamo. Anche perché la nostra preparazione universitaria si è conclusa nel 1984 con il conseguimento della Laurea in Ingegneria Nucleare. Quindi riteniamo di capirne qualcosa.
Indice:
In questo articolo ci concentreremo proprio sui concetti di sicurezza e pulizia tanto vantati dai politici suddetti. E lo faremo ripercorrendo i passi che ci hanno portato a maturare le nostre convinzioni: noi anziani siamo fatti così, pensiamo spesso al nostro passato.
Vi sono molti altri aspetti che andrebbero considerati e su cui, per ora, sorvolermo (e non giustificheremo le affermazioni che seguono):
Per ora fermiamoci qui. Chi è interessato troverà ampie dissertazioni pro e contro i vari aspetti del nucleare. Ad esempio Il Fatto Quotidiano ha pubblicato questo articolo a firma di Angelo Bonelli, convinto antinucleare ed esponente di Europa Verde. Mentre sul canale YouTube L'Avvocato dell'Atomo troverete vari video e speech a favore del nucleare.
Ma torniamo alle linee guida del nostro articolo: sicurezza e pulizia. A proposito, il termine pulizia a noi non piace. Invece useremo il termine impatto ambientale, che troviamo più adeguato al soggetto.
Il seguito di questo articolo è diviso nelle seguenti sezioni:
Attenzione al fatto che vi sono relazioni tra le diverse sezioni. Non solo tra quella dedicata ai concetti generali rispetto la sicurezza e l'impatto ambientale. Ma anche tra sicurezza e impatto ambientale.
In principio, c'è l'atomo. Composto da un nucleo circondato da elettroni.
Il nucleo a sua volta è formato da un aggregato di protoni e neutroni.
L'identità dell'atomo è definita dal suo numero di protoni: il numero atomico, che fissa le sue caratteristiche chimiche. Ovvero con quali altri atomi si può legare, più o meno stabilmente, formando molecole.
Esistono atomi con uguale numero atomico, ma diverso numero di neutroni. Quando di un atomo prendiamo in considerazione, oltre il suo numero atomico, anche il suo numero di neutroni, parliamo di isotopo.
La somma del numero di protoni e del numero di neutroni di un atomo è detto numero di massa atomica. Ad esempio in natura l'uranio, con numero atomico 92, si presenta con due diversi isotopi:
Precisazione: parliamo di isotopi quando facciamo riferimento ad uno specifico elemento. Ovvero atomi con uno stesso numero atomico. Altro esempio. Prendiamo lo iodio [9], che ha 53 protoni. Il suo isotopo (stabile) è lo iodio 127 (127I), che ha un nucleo formato da 53 protoni e 74 neutroni. Ma possiamo trovare anche l'isotopo (instabile) 131I, il cui nucleo è formato da 53 protoni e 78 protoni.
Quando desideriamo analizzare in generale le caratteristiche nucleari di diversi atomi, variando eventualmente anche il numero atomico, allora parliamo di nuclidi.
Due paragrafi fa abbiamo introdotto i termini stabile e instabile. Precisiamoli. Un nuclide è stabile se permane nel suo stato indefinitamente. È instabile se, in tempi più o meno lunghi, il nucleo subisce un qualche tipo di trasformazione. Queste trasformazioni sono dette decadimenti radioattivi e sono accompagnate da una emissione di energia. Per avere una idea della estensione di ciò di cui stiamo parlando: in natura sono stati osservati 252 nuclidi stabili e circa 87 nuclidi instabili. In totale sulla Terra sono stati osservati circa 339 nuclidi. A questi possiamo sommare più di 3000 radionuclidi non presenti in natura, prodotti da reazioni nucleari realizzate in laboratorio, o in impianti di produzione quali le centrali nucleari.
Tornando agli isotopi. La conoscenza del comportamento dei diversi isotopi di un elemento nell'ambito di una reazione nucleare è fondamentale. Isotopi diversi si possono comportare in modi diversi.
Ora abbiamo introdotto il termine reazione nucleare Con questa dizione si intende una interazione tra nuclei di atomi o tra nuclei e una particella subatomica, tipicamente un neutrone. Queste interazioni, semplificando molto una materia complessa, possono portare a:
La seguente immagine schematizza quanto abbiamo detto:
Ribadiamo: stiamo semplificando all'estremo. Comunque, nel caso di fissione, la particella subatomica incriminata di solito è un neutrone, che può avere:
Se avessimo a che fare con fusioni nucleari saremmo in un brodo di giuggiole. Potremmo usare come combustibili isotopi dell'idrogeno presenti in natura, o producibili abbastanza facilmente. E i prodotti della reazione sarebbero isotopi stabili o che decadrebbero in tempi piuttosto brevi.
Purtroppo la fusione nucleare richiede delle condizioni ambientali che sono ancora oltre le nostre capacità tecnologiche. All'Università i professori ci dicevano: "Ci vorranno altri venti anni di esperimenti". Bene di anni ne sono passati oltre quaranta, e siamo ancora alla fase di sperimentazione. I ricercatori in questo ambito ritengono che non si può pensare realisticamente alla costruzione di veri prototipi industriali prima del 2050. Anche se vi è qualche ottimista che giura vi si arriverà prima.
Per questo motivo in questo articolo non parleremo di fusione nucleare. Anche se riteniamo che questa sia la vera risposta alla necessità di energia di cui l'umanità ha bisogno.
Invece qui parleremo di fissione nucleare. Questa è la tecnologia attualmente utilizzata negli impianti di produzione di energia.
Gli impianti in questione sono quasi tutti reattori termici, ovvero che utilizzano fissioni generate da neutroni termici.
In un impianto nucleare per la produzione di energia elettrica, quel che facciamo è utilizzare un reattore nucleare per generare vapore. Questo viene inviato ad una turbina che, trascinando un alternatore, genera la corrente immessa nella rete elettrica. Il vapore esausto confluisce in un radiatore di raffreddamento, detto condensatore, che lo riporta in fase liquida. Così abbiamo acqua pronta a ricominciare il ciclo.
Esistono diversi modi per ottenere quanto esposto nel precedente paragrafo. Uno dei più diffusi lo illustriamo qui di seguito.
Qui sotto riportiamo un semplificatissimo schema a blocchi funzionali di un impianto ad acqua pressurizzato (PWR [11]) che illustra quanto detto nei paragrafi precedenti.
Leggiamo insieme lo schema. Il reattore nucleare per ora lo possiamo immaginare come una sorta di caldaia, poi approfondiremo. Come in ogni caldaia che si rispetti, la facciamo attraversare da un flusso d'acqua per sottrarre il calore prodotto: è il circuito primario di raffreddamento.
Qui non vogliamo che l'acqua bolla trasformandosi in vapore. Per questo motivo la teniamo ad una pressione poco superiore alle 150atm. L'acqua entra nel reattore con una temperatura di circa 275°C, ed esce con una temperatura di circa 315°C.
Nel generatore di vapore l'acqua del primario scalda quella del circuito di raffreddamento secondario. Qui, nel secondario, abbiamo la generazione di vapore, che inviamo ad una turbina. Questa è una macchina fornita di serie di palette montate radialmente rispetto un albero rotante assiale. Il vapore spinge le pale della turbina mettendo in veloce rotazione il suo albero. Questo è accoppiato meccanicamente ad un alternatore che genera la corrente elettrica immessa nella rete di distribuzione. Il vapore in uscita dalla turbina, che ha perso temperatura e pressione, viene inviato al condensatore. Questo componente effettua la funzione inversa del generatore di vapore: riporta il vapore alla fase liquida utilizzando acqua di raffreddamento proveniente dall'esterno dell'impianto: acqua di fiume o di mare, a seconda della localizzazione della centrale.
Ora che abbiamo chiarito come, in generale, funziona una centrale PWR per generare energia elettrica, dobbiamo spendere qualche parola per capire come funziona la caldaia, ovvero il reattore nucleare ad acqua leggera che è il cuore dell'impianto.
Per semplificare una faccenda complessa, diciamo che se colpiamo un nucleo di 235U con un neutrone termico, otteniamo la sua fissione, producendo:
Rallentando i neutroni veloci di cui sopra, abbiamo neutroni termici in grado di scindere altri nuclei di 235U. Il rallentamento dei neutroni veloci lo otteniamo facendoli scontrare con un elemento moderatore. Nel caso di un PWR la cosa è semplice: il moderatore è la stessa acqua del circuito primario. Gli urti dei neutroni veloci cedono la loro energia all'acqua: questa si scalda e i neutroni rallentano. Due piccioni con una fava: siamo felici.
Ma dobbiamo anche controllare che non vengano prodotti troppi neutroni termici. In caso contrario la temperatura del reattore aumenterebbe repentinamente, sfuggendoci di mano. Per impedire un eccesso di neutroni, dobbiamo assorbirli con un meccanismo regolabile. Sono le barre di controllo, che hanno una funzione simile a quella di un accelleratore per il motore di un'automobile. Sono formate di un materiale in grado di catturare neutroni [12], senza più rilasciarli. Quando le inseriamo nel reattore, diminuiamo la reazione, come quando solleviamo il piede dall'accelleratore. Quando le estraiamo otteniamo l'effetto inverso. Quando il reattore produce la potenza che desideriamo, le dobbiamo regolare in modo che la reazione di fissione in atto si mantenga stabile: senza diminuire, né aumentare.
Il disegno seguente [13] ci esplicita i concetti predetti, illustrando la costruzione di un reattore nucleare di un impianto PWR.
Per finire, un concetto importante, che ritroveremo parlando di sicurezza. Quando abbassiamo completamente le barre di controllo quasi fermiamo la produzione di calore all'interno del reattore.
Sottolineiamo il quasi. Perché, anche se in minima parte, le reazioni di fissione continuano. Ma, sopratutto, continuano le attività di decadimento dei diversi nuclidi che si sono formati durante il funzionamento del reattore. Queste attività sviluppano calore.
E il calore residuo prodotto in queste condizioni, se non viene rimosso, conduce lentamente ad un riscaldamento del reattore tale da portare in ebollizione l'acqua del primario. Quando ciò accade il livello dell'acqua nel reattore si abbassa, scoprendo parzialmente o completamente il core. A questo punto la reazione di fissione riprende in pieno, nonostante la presenza delle barre di controllo, portando alla temuta fusione del nocciolo, parziale o totale. È ciò che gli anglosassoni chiamano nuclear meltdown: il peggior incidente che possa capitare ad un impianto nucleare.
Per questo motivo, anche se il reattore è spento, non possiamo smettere di raffreddarlo quel tanto necessario per rimuovere il calore residuo prodotto dal core. Nella quasi totalità degli impianti attuali, questo significa che ci serve energia elettrica, perché dobbiamo alimentare delle pompe che muovono l'acqua nel circuito primario. Se viene meno la presenza di questa alimentazione essenziale, il meltdown è assicurato.
Il meltdown può capitare per motivi diversi. Quello descritto nel precedente paragrafo è ciò che è accaduto nell'incidente di Fukushima Daiichi, cui accenneremo più oltre. Può capitare anche per altri motivi che conducano ad una produzione incontrollata di calore nel nocciolo.
Concludiamo queste note introduttive considerando il fatto che uno dei modi di classificare gli impianti nucleari [14], consiste nel fare riferimento a caratteristiche costruttive che li collocano in archi temporali di progettazione e costruzione ben precisi. È la tassonomia per generazioni [15]:
In questa sezione parleremo di sicurezza degli impianti nucleari, facendo presente che questo concetto è stato, nel tempo, sempre affermato con granitica certezza dai fautori del nucleare, indipendentemente dalla tecnologia d'impianto adottata. Cosa che non ha impedito l'avvenimento dei disastri cui accenneremo.
Permetteteci di rispolverare un nostro recondito ricordo.
Autunno dell'anno domini 1979. Un emozionato studente di Ingegneria Nucleare dell'Università degli Studi La Sapienza, approcciava con il cuore in gola le aule universitarie site in via Scarpa, a Roma. Finalmente si fa sul serio! Dopo un biennio passato ad approfondire le materie trite e ritrite del liceo scientifico (matematica, fisica, geometria; uniche piacevoli eccezioni: disegno per industriali e gli elementi di programmazione dei calcolatori elettronici), ora ci attendono fisica nucleare, fisica atomica, radioprotezione. E, più in là, impianti nucleari 1 e 2, fisica del reattore nucleare, e chi più ne ha più ne metta.
Bene. Ci mettemmo a studiare di buzzo buono queste affascinanti materie.
I professori erano guide erudite ed efficaci. E durante le lezioni, oltre dei principi di base, si cominciò a parlare con loro anche delle problematiche di sicurezza.
Radioprotezione ci introdusse ai meccanismi dell'interazione delle radiazioni ionizzanti con la materia e, sopratutto, con i tessuti biologici: i danni che possono provocare a chi viene irraggiato. Mentre con i professori di impianti nucleari si calcolavano le probabilità di guasto di un impianto sotto diverse condizioni, e si parlava genericamente dei piani di evacuazione della popolazione [16] nell'impossibile caso di guasto catastrofico al reattore.
Impossibile? No, per carità. Nessun professore serio avrebbe usato questa espressione. Anzi la parola d'ordine era: il rischio zero non esiste. Vero. Ma i calcoli eseguiti durante le esercitazioni, con i tempi medi di guasto esibiti dai produttori di centrali nucleari, parlavano di probabilità con valori così risibili che l'idea preponderante tra noi studenti era: praticamente impossibile.
Già. Ma a Marzo del 1979 il praticamente impossibile era già accaduto. L'impianto di Three Mile Island aveva subìto una parziale fusione del reattore nucleare. Per contenere i danni il gestore aveva dovuto in più occasioni rilasciare nell'ambiente circostante gas radioattivi: un comportamento eticamente inaccettabile, ma obbligato dalle circostanze fisiche.
L'incidente in questione fu causato da un malfunzionamento dell'impianto [17], che fu aggravato dal comportamento degli operatori in sala di controllo: non capirono cosa stava succedendo, ed effettuarono delle manovre che aggravarono la situazione.
Bene. Three Mile Island fu un caso di studio durante i vari corsi, dissezionando cosa era avvenuto fisicamente e l'operato dei controllori. E digerendo l'idea che, dopotutto, le probabilità d'incidente sono ... probabilità: anche se basse, possono capitare, ma finisce qui.
Di conseguenza consideravamo sicuri gli impianti nucleari in esercizio o in corso di costruzione in quel periodo [18].
Salto temporale. Anno 1986. Usciti dall'Università con la laurea in Ingegneria Nucleare, venimmo assunti da Olivetti per lavorare nel sempre più dirompente settore dell'informatica. Quando, con qualche mese di ritardo, ENEA ci comunicò la possibilità di assunzione al Dipartimento per il controllo della sicurezza degli impianti nucleari (il famoso DISP), declinammo l'incarico perché assillati dalla incapacità di vedere una soluzione in tempi umani al problema dello stoccaggio dei combustibili esausti, di cui parleremo più in là.
Ma, nei primi mesi del 1986, eravamo ancora fermamente convinti della estrema sicurezza di esercizio degli impianti nucleari.
In Aprile avvenne il disastro di Chernobyl. E qui le nostre convinzioni riguardo la sicurezza del nucleare si crinarono irreparabilmente. Convinti come eravamo che non avremmo più assistito ad un incidente grave durante la nostra vita, Chernobyl ci turbò profondamente.
Certo, anche in questo caso si trattò di un incidente dovuto parzialmente ad errori di progetto, ma sopratutto ad imperizia (o peggio) di gestione da parte del personale. Inoltre la sicurezza passiva dell'impianto non era neanche lontanamente confrontabile con quella degli impianti occidentali. Basti dire che non aveva un sistema di contenimento di sicurezza [19].
Comunque Chernobyl ci convinse che qualcosa non andava alla radice dei processi di progettazione della sicurezza degli impianti nucleari. In particolare non si prendeva in considerazione con la dovuta attenzione il fattore umano, responsabile della conduzione dell'impianto.
Da un lato era necessario progettare impianti resistenti ad una conduzione di operatori incapaci di analizzare cosa stesse accadendo (perché in condizioni di panico, o per segnali fuorvianti da parte della strumentazione d'impianto, o per mancanza o insufficente evidenza dei segnali in questione ...). In pratica qualcosa di simile al test delle scimmie, in condizioni d'incidente critico in corso!
D'altro lato, quante volte i professori del corso di laurea ci avevano detto che era impensabile affidare la sicurezza di un impianto nucleare in condizione d'incidente a meccanismi completamente automatici (o a programmi di computer). La responsabilità di gestione di un impianto nucleare in condizioni critiche doveva assolutamente essere affidata ad operatori umani!
Stallo! Gli operatori devono saper gestire gli incidenti, ma quando sono in condizioni di allarme possono sbagliare. Una situazione del genere non è ammissibile, ergo non è possibile dire che si sta progettando un impianto sicuro. Fine di una convinzione basilare della nostra preparazione tecnica riguardo la progettazione di impianti nucleari.
Bene. Lasciamo scorrere gli anni, ed arriviamo a Marzo del 2011. In Giappone, prefettura di Fukushima, l'impianto nucleare di Fukushima Daiichi gestito dalla società Tokyo Electric Power Company venne investito da uno tsunami causato da un violento terremoto sottomarino.
A causa del terremoto, i reattori dell'impianto si spensero automaticamente. Ma i sistemi di refrigerazione primari avevano avuto problemi di alimentazione, ed erano alimentati dai generatori di emergenza. Generatori di emergenza che cessarono di funzionare quando un'onda di tsunami alta 14 metri superò il muro di sicurezza che separava l'impianto dal mare, allagando il sito dei cinque reattori nucleari che formavano l'impianto stesso. Tre di questi reattori fusero (gli altri due erano spenti per attività di manutenzione, e i tecnici della centrale riuscirono a continuare a raffreddarli) e vi furono conseguenti esplosioni di idrogeno che rilasciarono radiazioni ionizzanti nell'ambiente. Fu evacuata un'area di 20 km di raggio intorno all'impianto: 110000 persone.
Non solo. Venne rilasciata una enorme quantità di radiazioni ionizzanti tramite l'acqua di mare che fu utilizzata per raffreddare in emergenza i reattori danneggiati.
L'incidente di Fukushima Daiichi ci portò in eredità una ulteriore considerazione: gli avvertimenti più volte generati riguardo la necessità di dotare l'impianto di una salvaguardia contro onde di tsunami alte fino a 15 metri, furono sistematicamente ignorati dai responsabili di gestione dell'impianto.
Ecco le considerazioni economiche che riemergono. Quando una misura di sicurezza è troppo costosa, viene ignorata dai progettisti e/o dai gestori dell'impianto, che antepongono la economia d'esercizio alla sicurezza dello stesso. Altro tassello mancante nella logica di progettazione di impianti nucleari: la sicurezza dovrebbe venire prima della considerazioni economiche. Ma non è così. Ulteriore motivo che ci convince del fatto che non si progettano (e gestiscono) impianti sicuri.
Una breve osservazione riguardo la tremenda situazione che è in corso in Ucraina nel periodo in cui stiamo stendendo queste note. Ci riferiamo alla guerra in corso tra Ucraina e Federazione Russa. Guerra che, purtroppo, ha coinvolto anche un impianto nucleare: quello di Zaporizhzhia. Questo impianto consiste in ben sei unità PWR di progettazione russa (VVER-1000). Le notizie allarmanti relative al fatto che l'impianto sia collegato o meno alla rete di alimentazione ucraina non preoccupano tanto perché l'impianto non produce energia verso l'Ucraina, quanto perché non è in grado di ottenere l'energia che serve per lo smaltimento del calore residuo nei suoi reattori, che ormai sono stati tutti spenti. In queste condizioni Zaporizhzhia deve utilizzare i generatori ausiliari di emergenza per assicurare che i core non vadano in meltdown.
Bene, siamo arrivati alle elezioni politiche del 2022, ed è ora di parlare del futuro.
Perché del futuro? Perché le dichiarazioni, e i progammi di diversi partiti politici indicano la volontà di introdurre il nucleare sicuro in Italia. La Lega alla pag. 57 del suo programma recita:
E questo è il futuro: attualmente in Italia non abbiamo né capacità progettuali né realizzative di impianti nucleari. Attualmente al più possiamo parlare di componentistica. Per rimettere in piedi una filiera nucleare nazionale servono sforzi (alias soldi) titanici per lunghi periodi di tempo. E in Italia, quando si parla di grandi investimenti dell'industria, si chiama invariabilmente lo stato a dare il suo sostanzioso contributo [20].
In ogni caso non potremmo ipotizzare una pianificazione meno che ventennale, anzi più probabilmente trentennale [21].
E che tipo di reattori scegliere? La Lega fa il tifo per gli Small Modular Reactor. Infatti a pag. 56 del suo programma indica (l'enfasi è nostra):
Vediamo in maggiore dettaglio i punti messi in evidenza.
È vero che diversi paesi stanno studiano gli Small Modular Reactor. Ma si tratta proprio di questo: studi.
Attualmente la Cina è il paese più avanzato in questo settore, in quanto ha in costruzione un primo prototipo dall'Ottobre 2021. E pianifica di metterlo in produzione per il 2026.
Per questo motivo analizziamo questo reattore: progettato dalla China National Nuclear Corporation (CNNC), si chiama ACP100.
Lo ACP100 ha caratteristiche tecniche interessanti riguardo la sicurezza [22]. Vedremo come evolverà, ma, anche se migliorato, comunque non possiamo pensare che sia un reattore sicuro. Il motivo è semplice. Il fattore di core damage frequency dichiarato è dell'ordine di 10-6. Ovvero una fusione del core ogni milione di anni di funzionamento. Ma di ACP100, ne dobbiamo utilizzare 10 per avere la potenza di un attuale impianto. Vuol dire che il milione di anni si divide per 10, divenendo centomila anni.
E questo sarebbe un dato rassicurante. Infatti, prendendo la tabella 4 alle pagine 14 e 15 del documento IAEA Nuclear Power Reactors in the World, osserviamo che al 31 Dicembre 2019, sommando tutti i 443 reattori nucleari installati nel mondo, otteniamo una operatività complessiva di soli 18329 anni. Troppo ce ne vuole per arrivare a centomila. Quindi: tutto a posto?
Purtroppo no. Non è tutto oro quel che luccica. Uno studio del 2003 [23] commissionato dall'Unione Europea ha indicato un valore di core damage frequency pari circa 5·10-5. Ovvero un danno al core ogni 20000 anni di funzionamento. Bene, in meno di 20000 anni di funzionamento, di danni ai core ne abbiamo visti 6 [24]. Come abbiamo avuto modo di sottolineare nei paragrafi precedenti: i calcoli relativi alla sicurezza non considerano né i fattori umani, né vari fattori ambientali. Il core damage frequency non è un parametro affidabile per misurare la sicurezza di un impianto nucleare.
Se, in un impeto di pessimismo, riportassimo quanto osservato ad oggi sugli impianti di seconda generazione verso lo ACP100 ci aspetteremmo 30 meltdown del core in centomila anni di funzionamento.
Passiamo ora a considerare la più agevole collocazione dell'impianto grazie alla sua taglia ridotta. Il sito attualmente in costruzione in Cina è del tutto ortodosso: richiede ben 5 anni (cinesi ... in Italia è da vedere) di lavoro. E le normative da rispettare (antisismicità, presenza di acqua per il raffreddamento, popolazione ridotta, ...) è la solita. Nulla da guadagnare da questo punto di vista, anzi, di siti ne dobbiamo individuare 10 (o mettere 10 reattori in un unico sito).
Perché 10 reattori? L'abbiamo detto prima. Lo ACP100 ha una potenza erogata di soli 125MWe. Decisamente pochi: per fare un impianto medio alla francese, ovvero circa 1000MWe, servono circa 10 ACP100.
Inoltre, sempre a causa della taglia piccola, il costo di produzione dell'energia sarà tutto da verificare [25].
Anche la riduzione del tempo di costruzione (5 anni per impianto) non è rilevante.
Così come non ha la capacità di abbattere la quantità di combustibile nucleare esausto altamente radioattivo. Come accennato in una nota precedente, lo ACP100 è un reattore di terza generazione di tipo PWR. Ovvero è un reattore ad acqua bollente in pressione: per intenderci il principio di funzionamento utilizzato dai collaudatissimi reattori francesi. Che però non è parsimonioso in quanto a produzione di scorie radioattive.
Su questo punto la Lega fa riferimento a tecnologie di quarta generazione, ovvero (alcuni, ve ne sono ben sei famiglie diverse, non tutte con le stesse caratteristiche) reattori in grado di essere alimentati con il plutonio ed altri isotopi radioattivi prodotti dalle centrali di seconda e terza generazione. Ne parleremo nella sezione relativa all'impatto ambientale dei nuovi reattori.
E veniamo alla flessibilità di uso per integrare gli impianti ad energie rinnovabili. Abbiamo per le mani un PWR, anche se piccolo. E i PWR non possono variare a piacimento la loro potenza di utilizzo. Vanno portati alla potenza voluta e lasciati lì per il periodo di tempo più lungo possibile. In caso contrario andremmo incontro ad una forte riduzione della durata della vita operativa dell'impianto. Riduzione vista come fumo agli occhi dal gestore dell'impianto [26].
Vorremmo concludere questa analisi dello ACP100 con una considerazione che ci ha colpito molto positivamente: il fatto che la CNNC si sia esposta chiedendo alla International Atom Energy Agency di certificare la sicurezza del progetto. Certificazione che ha ottenuto nel 2016.
Non analizziamo altri Small Modular Reactor perché parleremmo di mere dichiarazioni d'intenti. Come detto prima fervono studi, ma lo ACP100 hanno cominciato a progettarlo nel 2010 per iniziare a costruire il prototipo nel 2021. Se tanto ci dà tanto, degli alti SMR parleremo nel 2033.
E riguardo i reattori di quarta generazione (non necessariamente SMR)? Anche in questo caso progetti e studi in corso. Ne parleremo diffusamene nella sezione successiva, dedicata all'impatto ambientale degli impianti nucleari. Qui facciamo un paio di osservazioni.
Va detto che in questo ambito vi sono vari prototipi della tecnologia detta dei reattori veloci. In particolare nella Federazione Russa, seguita da India e Cina.
Di reattori veloci si parlava abbondantemente nei corsi che abbiamo seguito all'Università. In particolare avevamo il mito del Superphenix. Un reattore veloce costruito in Francia dal 1976, messo in linea nel 1986.
I prof stravedevano per questo impianto. Noi un po' meno. Perché? Perchè:
In conclusione: i reattori veloci sono bestie molto pericolose da gestire, e se sono raffreddati a sodio liquido, lo sono ancora di più. Il Superphenix ebbe vari problemi di sicurezza. Solo nel 1996 raggiunse una soddisfacente continuità operativa (95% di uptime) e venne spento alla fine di quell'anno, senza essere più riacceso.
Parlando di impatto ambientale, cominciamo con il dire che gli impianti nucleari producono molto poca CO2. Buona notizia. Ma, come tutti gli impianti termoelettrici, riscaldano comunque l'ambiente. Cattiva notizia.
Il riscaldamento dell'ambiente da parte delle centrali nucleari avviene quando nel condensatore il vapore esausto in uscita dalle turbine viene raffreddato dall'acqua dell'ambiente esterno. Quest'acqua di raffreddamento ovviamente aumenta di temperatura.
Quant'è il calore che una centrale termoelettrica trasferisce all'ambiente? Senza essere troppo cavillosi, il ciclo Rankine utilizzato da queste centrali per produrre l'energia elettrica ha una efficienza teorica massima di poco meno del 65%. Significa che almeno il 35% del calore prodotto dall'impianto viene perso e passa all'ambiente.
Nella pratica la situazione è ben diversa. Gli impianti di potenza tipici hanno una efficienza che viaggia intorno al 35%. Una centrale nucleare usa oltre la metà della sua potenza (circa il 65%) per riscaldare l'acqua del fiume che la raffredda.
Un tipica centrale PWR della Westingouse immette in rete 1200MWe (mega watt elettrici) di energia elettrica con un nocciolo che produce 3400MWt (mega watt termici). 2200MWt riscaldano acqua di fiume (o di mare).
Per una serie di considerazioni tecniche in cui non ci addentriamo [27], legate all'efficienza di produzione dell'impianto, l'acqua di raffreddamento del condensatore si deve scaldare il meno possibile. Tipicamente: pochi gradi. Diciamo che l'acqua entra nel condensatore con una temperatura ambiente di 22°C ed esce con una temperatura di 25 °C. Questo aumento contenuto di temperatura impone flussi di acqua rilevanti, dell'ordine di 28m3/sec. Per dare l'idea: ogni secondo un condensatore del genere ingoia una quantità di acqua equivalente a quella che conterrebbe una stanza quadrata con i lati lunghi 3m e altrettanto alta.
Ribadiamo: questo è una caratteristica di tutti gli impianti termoelettrici, ovvero che utilizzano il calore per produrre elettricità. Che si usino il nucleare, il carbone o il metano, non vi è differenza (se non per il fatto rilevante che carbone e metano bruciando producono anche CO2). Per evitare questo problema dovremmo utilizzare impianti idroelettrici, eolici, fotovoltaici, ...
Ora lasciamo stare il calore residuo immesso nell'ambiente e occupiamoci di un altro aspetto, peculiare degli impianti nucleari. Questi impianti utilizzano combustibile formato da vari elementi fissili, ovvero in grado di dare luogo a reazioni di fissione nucleare.
Dopo una certa quantità di tempo il combustibile in questione deve essere sostituito perché i prodotti della fissione in parte sono isotopi che assorbono i neutroni. Quando questi elementi sono troppi, il reattore non è più in grado di mantenere una reazione nucleare stabile: diminuisce sempre più la sua potenza.
A questo punto dobbiamo sostituire il combustibile esausto con altro combustibile fresco. Bene, il combustibile esausto che caratteristiche ha? E come lo gestiamo?
Qui la cosa si fa complessa. Le sue caratteristiche, (elementi che lo compongono, temperatura, livello di radioattività, ...) dipendono da diversi fattori: la composizione iniziale del combustibile, quanto tempo è stato utilizzato, a quali potenze. E da quanto tempo è stato estratto dal reattore [28].
Una cosa è sicura: è altamente radioattivo. Se per errore ci avvicinassimo ad una barra di combustibile appena estratta da un reattore nucleare e non schermata, in pochi secondi assorbiremmo una dose letale di radiazioni che ci porterebbe al decesso in pochi giorni. Senza possibilità di cure.
Quindi la risposta breve è: per spostarlo lo schermiamo pesantemente, poi lo infiliamo in una piscina per qualche anno, aspettando così che decadano gli elementi con tempi di dimezzamento [29] più breve.
Dopo di che ci troviamo ad avere a che fare con isotopi radioattivi che richiedono tempi medi e lunghi per togliersi di mezzo. Per tempi medi si intende fino a qualche centinaio di anni. I tempi lunghi sono dell'ordine delle migliaia, se non centinaia di migliaia, di anni [30].
Abbiamo di fronte due possibilità:
Gli Stati Uniti hanno fatto da apripista per la prima soluzione. Dovevano trattare il combustibile esausto in modo da renderlo inerte [31], per poi immagazzinarlo in depositi geologici profondi particolarmente stabili: lo Yucca Mountain Nuclear Waste Repository.
Al momento in cui scriviamo il progetto in questione è bloccato da decenni. Secondo i sostenitori del nucleare, per meri motivi politici. Rimane il fatto che né i repubblicani, né i democratici, hanno lavorato per sbloccare il progetto e superare l'ostilità delle popolazioni locali.
Diverso il caso della Germania.
La Germania Est adottò il sito di Morsleben, una miniera di sale utilizzata per immagazzinare residui radioattivi ad alta intensità da 1971.
La Germania Ovest, a sua voltà utilizzò la miniera di sale di Asse II.
Entrambi questi siti si sono dimostrati inaffidabili. Il sito di Moresleben ha mostrato cedimenti dal 1997, portando alla chiusura del sito e la previsione della necessità di oltre 2 miliardi di € per il suo decommissioning. Analogamente la miniera di Asse II ha mostrato via via segni di instabilità che hanno portato alla pianificazione del suo decommissioning. Con una previsione di spesa di oltre 3,7 miliardi di €. Tutti impegni economici a carico dello stato. Mentre i gestori degli impianti nucleari tedeschi hanno versato poche centinaia di milioni di euro per lo stoccaggio dei rifiuti durante il periodo di funzionamento dei depositi.
Al momento in cui scriviamo, sono stati realizzati molti depositi di test e piccoli depositi locali per lo smaltimento di combustibile nucleare esausto. Al link precedente potrete trovare un elenco degli impianti in questione.
Comunque osserviamo che, per ora, l'unico grande progetto attivo di deposito geologico profondo per l'immagazzinamento di rifiuti radioattivi ad alta intensità è portato avanti dai finlandesi, con il sito di Onkalo. Dovrebbe cominciare ad operare dal 2023.
Una osservazione personale. Sono state le considerazioni precedenti che nel 1984 ci hanno orientato a cercare lavoro nell'ingegneria informatica, invece che nel nucleare.
Tornando a noi. Sempre in relazione al combustibile esausto, vi sono alcune altre considerazioni da fare. Dobbiamo tornare a considerare la progettazione e l'uso dei reattori veloci.
Quando seguivamo le lezioni all'Università, una forte preoccupazione consisteva nella quantità di uranio a disposizione nei giacimenti minerari conosciuti. Pensando ad un utilizzo generalizzato [32] dell'energia nucleare per la produzione di energia elettrica, i ricercatori del settore avevano pronosticato un esaurimento delle risorse minerarie in decine di anni.
Ciò aveva portato all'analisi di possibili strategie per sfruttare al meglio il combustibile nucleare disponibile, incluso quello esausto. O, ancora meglio, aumentare il combustibile nucleare disponibile.
Questo aspetto ben si raccorda con la seconda ipotesi che avevamo fatto per la gestione del combustibile nucleare esausto: elaborarlo per eliminare quanto possibile gli elementi che ci danno problemi. Vediamo perché.
Nel combustibile esausto abbiamo una pletora di elementi, che possiamo raggruppare in questi ambiti:
Si nota subito la presenza dell'Uranio e quella del Plutonio. Entrambi, con le dovute precisazioni, sono buoni combustibili nucleari.
Non lo abbiamo ancora detto, ma l'238U può dare luogo a fissione. Quando si usano neutroni termici, la sua probabilità di fissione è molto inferiore a quella dell'235U; ma con i neutroni veloci le cose cambiano: l'238U dà luogo a reazioni di fissione con una discreta efficienza.
Analogamente il Plutonio. In particolare il 239Pu ha buone probabilità di fissione da neutroni veloci. Mentre il 240Pu si può addirittura fissionare spontaneamente, senza la sollecitazione di un neutrone. Un inciso: il Plutonio è un elemento molto efficace per la costruzione di ordigni nucleari, più dell'Uranio. Di conseguenza alcuni analisti pensano che elementi di combustibile con elevato uso di plutonio potrebbero essere obiettivi ambiti da organizzazioni terroristiche o da stati il cui management (senza scrupoli etici) abbia lo scopo di dotarsi di armi nucleari. Fine dell'inciso.
Anche gli attinidi sopra citati hanno buone caratteristiche di fissione da bombardamento neutronico.
Da qui l'osservazione spontanea di chi si occupa di cicli del combustibile. Separando gli elementi predetti dal resto del combustibile esausto, potremmo alimentarci reattori veloci. Anzi, è addirittura possibile ipotizzare di avere reattori veloci in grado di restituire, dopo un periodo di lavoro, una quantità di combustibile superiore a quella fornita inizialmente. Questo è il concetto di reattore autofertilizzante.
Combustibile esausto gestito in questo modo avrebbe minori quantità di elementi radiottivi alla fine del suo ciclo di vita, perché una parte sarebbe stata utilizzata per alimentare i reattori veloci.
Rimane intoccata solo la parte dei prodotti di fissione, non utilizzabili come combustibili. Prodotti che comunque danno un bel contributo alla radioattività del combustibile esausto.
I reattori veloci hanno punti di forza interessanti:
Alcuni autori si spingono ad argomentare anche di una maggiore sicurezza intrinseca dovuta all'uso del sodio liquido per il raffreddamento del nocciolo. Questo perché non è necessario mettere in pressione il nocciolo. Vero. Ma a nostro avviso quel che si guadagna in sicurezza lavorando a pressioni molto inferiori rispetto i PWR, lo si perde a causa dell'aumento della temperatura di esercizio: il sodio lo si spinge oltre i 500°C [34]. Di conseguenza tutto il primario deve essere progettato per resistere a queste temperature.
Per non parlare di un eventuale contatto del sodio del primario con l'acqua del secondario. Già a temperatura ambiente questi elementi fanno (letteralmente) i fuochi artificiali. Figuriamoci ad alte temperature.
Altri svantaggi:
Tutto sommato, non pensiamo che l'aumento del rischio per la sicurezza dei reattori veloci, bilanci il piccolo guadagno che otteniamo nella gestione del combustibile esausto.
Parlando di reattori veloci, abbiamo cominciato a parlare dei reattori di quarta generazione.
Nel 2001 l'ufficio dell'Energia Nucleare del Dipartimento USA dell'Energia propose una collaborazione internazionale per lo studio di nuove generazioni di centrali nucleari.
Aderirono diversi paesi, inclusi la Cina, la Francia, la Russia e l'Europa Unita (Euratom), dando luogo al Gen IV International Forum [36]
Questa pubblicazione del forum: GIF R&D Outlook for Generation IV Nuclear Energy Systems 2018 Update, ci permette di capire di cosa si sta parlando.
I tipi di impianti previsti sono:
Un primo aspetto che ci colpisce è il fatto che quasi tutte queste tipologie d'impianto sono descritte come allo studio nel testo con cui abbiamo preparato l'esame di Impianti Nucleari I nell'anno 1981 [37].
A pagina 204 e successive del tomo predetto troviamo la situazione della ricerca (molto attiva) in quegli anni, le relative considerazioni tecniche e, a pag. 207, i pro e i contro delle diverse soluzioni: nessuna perfetta.
Le uniche novità rispetto quanto studiato nel 1981 sono i reattori a sali fusi e quelli raffreddati ad acqua supercritici.
Gli studi più avanzati, e i prototipi già in funzione, riguardano i reattori veloci raffreddati a sodio. Tutti gli altri sono studi, nonostante siano passati decenni, e sono ancora ampiamente allo stato embrionale.
Sempre dal Gen IV International Forum, il documento Technology Roadmap Update for Generation IV Nuclear Energy Systems dell'anno 2014 prevedeva due fasi per ciascuno dei tipi precedentemente esposti, ignorando (evidentemente per estrema inaffidabilità) la eventuali previsioni di date per avere impianti di produzione:
Una occhiata ai grafici a pagina 15 del documento predetto, che mostrano le linee temporali di sviluppo ci fa osservare:
Ma è in corso una nuova revisione di questa pianificazione, che potrebbe introdurre ulteriori ritardi. In ogni caso non è realistico pensare di vedere impianti di produzione di questi tipi prima del 2050.
Considerando che, se teniamo al clima del nostro pianeta, per il 2050 dovremo avere già annullata l'emissione di CO2 antropica, è chiaro che questa strada non è perseguibile.
Continuiamo a ritenere che lo studio e la costruzione di impianti nucleari sia un errore strategico:
Il perseguimento di queste strategie, propugnate da International Energy Agency, sottrae risorse all'ulteriore sviluppo ed installazione di impianti fotovoltaici, ed eolici. Nonché all'espansione e alla gestione di impianti idroelettrici, e di impianti di produzione di idrogeno verde, necessari per effettuare l'accumulo del surplus di energia eventualmente prodotto da fotovoltaico ed eolico.
Enjoy. ldfa
[1] | Qui alcuni articoli pubblicati dai canali d'informazione: |
[2] | Anche se l'incidente di Fukushima Daiichi ha avuto un minore impatto nell'opinione publica italiana. A differenza di Chernobyl, situata in Ucrina, Fukushima Daiichi, situata in Giappone, ha avuto pesanti ricadute ambientali in un'area geografica che ha interessato l'Italia solo marginalmente. |
[3] | Questo non vale per i reattori francesi. Perché in Francia il 70% dell'energia elettrica è prodotta con il nucleare, superando il carico di base notturno. Per non buttare via l'energia prodotta in eccesso, i francesi la vendono agli svizzeri. Che la usano per ricaricare i loro bacini idroelettrici pompando l'acqua da valle a monte. |
[4] | Contrariamente a quanto affermato a pag.56 del programma politico della Lega del 2022. Questo link è stato testato nel Settembre 2022. Se non dovesse più funzionare puoi scaricare una copia del programma in questione da qui. |
[5] | fonte: World Nuclear Association, pagina Uranium Production Figures, 2012-2021. |
[6] | La quasi totalità delle centrali nucleari ha bisogno di utilizzare combustibile formato da una quantità di 235U superiore a quella naturale. Da qui la necessità di processare opportunamente l'uranio naturale, per aumentare la quantità di 235U in esso presente. Questo processo viene detto arricchimento ed avviene in appositi impianti, tramite processi fisici che qui non esponiamo. Comunque quanto detto ci permette di capire perché è necessario considerare, oltre le capacità estrattive dell'uranio naturale da miniera, anche le capacità di arricchimento: senza uranio arricchito molti tipi di centrali nucleari non funzionerebbero. Stiamo parlando del 86% degli impianti oggi esistenti (fonte: pag. 76 di https://www-pub.iaea.org/MTCD/Publications/PDF/RDS-2-40_web.pdf da Internationl Atomic Energy Agency; rapporto del 2020, aggiornato al 2019). |
[7] | Nell'anno 2020 la Federazione Russa aveva una capacità di arricchimento dell'uranio pari a 28663 kSWU/yr (qui yr è l'abbreviazione di year: l'inglese per anno). Il doppio del consorzio Urenco, che raggruppa le capacità di Germania, Olanda, Regno Unito. E il quadruplo di quelle della Francia. La Cina era a 10000 kSWU/yr e gli USA a 4700 kSWU/yr. (Fonte: World Nuclear Association, pagina Uranium Enrichment.) |
[8] | Con buona pace di quanto affermato a pagina 56 del programma politico della Lega del 2022. |
[9] | fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Table_of_nuclides |
[10] | Qui i termini leggero e pesante si riferiscono al numero atomico del nucleo. nuclei con pochi protoni sono leggeri. Con più protoni sono pesanti. |
[11] | PWR è l'acronimo di Pressurized Water Reactor. In italiano: reattore ad acqua pressurizzata. |
[12] | Ad esempio: boro, afnio, cadmio, ... |
[13] | Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Reactorvessel.gif licensing: Public Domain This figure was obtained from the US Energy Information Website at http://www.eia.doe.gov/. |
[14] | Questo non è il solo modo di classificare gli impianti. Ne esistono una pletora. Per tipologia di moderatore, di raffreddamento, velocità dei neutroni, tipo di combustibile nucleare, ... |
[15] | fonte: Nuclear reactors generation to generation da American Academy of Art & Science. |
[16] | Piani che devono essere tarati con attenzione in base alle ricadute economiche e sociali. Cosa vuol dire questa affermazione? Vuol dire che l'evacuazione in emergenza di migliaia o decine di migliaia di persone ha un inevitabile costo in vite umane perse (incidenti stradali, persone anziane infartuate o decedute per polmoniti, minori non accompagnati o che si perdono, ... le possibili cause d'incidente sono una miriade) e in aspetti economici a carico dell'apparato pubblico (intervento delle strutture di soccorso, accoglimento degli sfollati, cure mediche straordinarie ...). Tutto questo fa sì che un piano di evacuazione in emergenza non venga attuato a meno che non si prevedano nella popolazione civile, nel tempo, una soglia minima di decessi per tumori indotti da irraggiamento. Al di sotto di questo valore, le istruzioni sono: "state in casa, chiudete le finestre, non accendete i condizionatori e/o i sistemi di areazione, non mangiate cibi che possono essere contaminati, ...". Tutto ciò vi dice niente? È esattamente quel che avviene in caso di incidente in impianti chimici o incendi di materiale tossico. Si accetta un determinato rischio di tumore indotto nella popolazione, e si evacua solo se si supera tale rischio. Post scriptum. In passato ho parlato con un funzionario che ha lavoraro al piano di evacuazione di emergenza della zona popolata attorno al Vesuvio in caso di eruzione. Mi disse che la densità di popolazione e le caratteristiche fisiche della zona (conformazione del terreno, rete dei trasporti, ...) erano tali da sperare di non doverlo attuare mai: il numero di decessi previsto a causa del piano (non dell'eruzione) sarebbe stato un incubo. |
[17] | Durante una operazione di manutenzione di routine, la turbina e le pompe del sistema di raffreddamento secondario si bloccarono, causando un veloce aumento della temperatura del sistema di raffreddamento primario. Il reattore andò in blocco di emergenza, ma i sistemi di rimozione del calore residuo non funzionarono. Gli operatori non videro questi segnali di allarme, né furono in grado di capire i successivi, per effettuare le opportune azioni mitigatrici. |
[18] | Oggi li chiamiamo impianti nucleari di seconda generazione. |
[19] | Ovvero un grande involucro di metallo che circonda il reattore e il sistema di raffreddamento primario, con lo scopo di contenere fisicamente eventuali perdite rilevanti di fluidi radioattivi in caso di incidente grave. L'efficacia di una misura di questo genere si è dimostrata relativa (Three Mile Island aveva il sistema di contenimento di sicurezza; ma per vari motivi si dovette comunque decidere di rilasciare parte dei gas radioattivi nell'ambiente esterno). Ma comunque ha fatto in modo che alcuni incidenti non assumessere il livello di gravità di Chernobyl. |
[20] | Funzionava così anche negli anni '70. In quegli anni ho conosciuto funzionari ENEA che non avevano alcuna difficoltà ad ammettere che molti dei progetti ENEA servivano come mero finanziamento per la ricerca dell'industria privata. |
[21] | Quando i francesi si sono messi a costruire reattori nucleari, hanno scelto un progetto già rodato, e ne hanno costruiti una settantina in venti anni, dal 1972 al 1992 (fonte: World nuclear association, Nuclear Power in France). Ma i primi impianti, anche se per scopi militari, li avevano già costruiti fin dal 1962: dieci anni prima. |
[22] | Alcune di queste sono:
|
[23] | Facciamo riferimento alla pag. 137 del Environmentally harmful support measures in EU Member States. |
[24] | Meltdown considerati: 1 parziale a Three Mile Island, 1 totale a Chernobyl, 3 totali a Fukushima Daiichi e 1 parziale a Greifswald 5 nel Novembre 1989 nella Germania dell'Est. In questa analisi ci siamo limitati agli impianti di produzione di energia elettrica. In realtà gli incidenti con danneggiamento del core sono una ventina. Qui è possibile consultarne la lista. Se poi vogliamo considerare in generale i ventotto incidenti avvenuti in impianti nucleari al settembre 2011, possiamo consultare questo link. |
[25] | Non è un caso che gli attuali impianti nucleari abbiano taglie di circa 1000MWe o superiori. I maggiori costi di costruzione sono compensati dalla maggiore capacità di produzione. Con le attuali tecnologie i piccoli reattori hanno costi di produzione dell'energia nettamente superiori. E il ACP100 è un reattore di terza generazione con tecnologia standard: di fatto è un piccolo PWR. |
[26] | Un esercente tende a voler aumentare la vita dell'impianto, non ridurla. Perché una riduzione significherebbe che i costi di costruzione dell'impianto si distribuirebbero su una minore quantità di energia prodotta. Aumentando il relativo costo di produzione: orrore. |
[27] | Eventualmente si consulti https://www.nuclear-power.com/nuclear-power-plant/turbine-generator-power-conversion-system/main-condenser-steam-condenser/. |
[28] | L'ultima osservazione dipende dal fatto che parte del materiale che forma il combustibile esausto è formato da isotopi radioattivi. Questi, nel tempo, emettono spontaneamente radiazioni che li trasformano via via in altri isotopi, fino ad assumere una forma stabile, non più radioattiva. Bella notizia. La cosa meno bella è che nel combustibile esausto vi sono isotopi radioattivi che se la prendono con molta calma prima di stabilizzarsi: centinaia di migliaia di anni. Ere geologiche. |
[29] | Il tempo di dimezzamento di un isotopo radiattivo è il tempo in cui, statisticamente, la metà dei suoi nuclei emette la radiazione ionizzante, di solito trasformandosi in un altro isotopo. |
[30] | Abbiamo la sensazione che lo scorrere del tempo per i progettisti dei cicli del combustibile nucleare, sia molto diverso da quello dell'uomo della strada. Considerare come "tempi medi" le centinaia di anni, ci sembra fuori luogo. Non parliamo delle centinaia di migliaia di anni. Giusto per regolarci, attualmente i paleontologi ritengono che la nostra specie, homo sapiens, abbia visto la luce circa trecentomila anni fa. |
[31] | Inerte in questo contesto non significa che il materiale non è radioattivo. Al contrario, è estremamente radioattivo. Ma è in una forma, di solito vetrosa, che ne garantisce una difficile dispersione in caso di contatto con agenti ambientali. In particolare preoccupa l'acqua: onnipresente (anche sotto terra) e con una ottima capacità di corrodere quasi ogni cosa, portandola via in forma di soluzione. |
[32] | Eravamo troppo ottimisti. Nell'anno 2021, il consumo totale di energia nel pianeta Terra è stato stimato in 176431 TWh, e la produzione da energia nucleare è stata stimata a 7031 TWh, ovvero il 3.9% del totale (fonte: Our world in data, Global energy consumption). Mentre secondo International Energy Agency nel 2020 la produzione da nucleare ha raggiunto (in diminuizione) il 10% della produzione di energia elettrica a livello mondiale (fonte: Nuclear Power and Secure Energy Transitions). Giusto per chiudere il cerchio. Secondo Enerdata la produzione di energia elettrica nel 2021 ha riguardato il 10% della domanda globale di energia. Non possiamo pubblicare i dettagli di questa affermazione a causa della politica di Enerdata che richiede un esplicito consenso per la diffusione dei suoi dati. Ma è comunque possibile consultarli liberamente sul loro sito in Internet. |
[33] | Ad esempio. Il Technetium 99 (99Tc) ha un tempo di dimezzamento di 211000 anni. Mentre il tempo di dimezzamento dello Iodio 129 (129I) è di 15 milioni di anni. |
[34] | Questo è il motivo che permette di avere impianti più efficienti energeticamente. Maggiore la temperatura del primario, maggiore la temperatura del vapore del secondario. E questo aumenta l'efficienza del ciclo Rankine. |
[35] | In un reattore termico i sistemi di arresto in emergenza del reattore devono reagire entro una manciata di secondi. Per capirci: Three Mile Island andò in SCRAM (arresto di emergenza) entro 8 secondi dal fermo delle turbine nel secondario. Qui abbiamo necessità di tempi di reazione di un ordine di grandezza più veloci. Inattuabili con mezzi meccanici. |
[36] | In forma meno criptica: il Foro Internazionale dei (reattori di) IV Gen(erazione). |
[37] | È il libro Impianti nucleari del prof. Maurizio Cumo, edito da UTET nel lontano 1976. |