Created on 28 Aug 2018 ;    Modified on 10 Oct 2018

Appunti di introduzione alla psicologia - N.3: Sensazione, percezione, attenzione e consapevolezza

Lezioni del prof. Steve Joordens della Università di Toronto, erogate tramite Coursera.

Gli appunti della prima settimana sono: La storia, e il metodo scientifico.

Gli appunti della seconda settimana sono: Il cervello.

L'esterno, dentro

Noi ci percepiamo come entità distinte dall'ambiente che ci circonda, con la pelle come confine tra noi e il mondo.

Noi abbiamo la convinzione che il mondo sia modellato dalle sensazioni che proviamo: vista, udito, odorato, gusto, tatto. Ma questo concetto non è vero. Il mondo che ci circonda è molto di più, espresso con forme di energia che noi non siamo in grado di percepire.

Ad esempio, si pensi al calore. Può essere percepito tramite sensori dell'infrarosso, che lo trasformano in segnale ottico, percepibile dai nostri occhi. Ma senza questi sensori, noi percepiamo il calore solo a brevissime distanze tramite il tatto. Se siamo lontani e senza sensori all'infrarosso, non lo percepiamo, anche se è presente.

Analogamente per le onde radio. Vi siamo immersi, ma non le percepiamo. Abbiamo bisogno di appositi dispositivi, le radio, per convertirle in sonoro, percepibile dalle nostre orecchie.

Quindi il mondo è formato da una pletora di energie e informazioni, anche oltre le nostre capacità sensoriali. E l'idea che noi ne abbiamo è una trasformazione da queste forme di energia a una rappresentazione interna al nostro cervello. Tutto quello che conosciamo passa comunque tramite la percezione dei nostri sensi.

Vediamo come l'energia esterna viene trasformata in una rappresentazione interna.

L'energia fisica proveniente dal mondo esterno, ad esempio luce, oppure suono, viene trasdotto dai nostri sensori (negli esempi precedenti: occhi, orecchie) in segnale neurale.

Questo segnale è detto sensazione, intesa come elaborazione del segnale grezzo. Ed è un livello sensoriale in cui si identificano effetti fisici. Ad esempio nel caso della vista: forma, colore, contrasto. Nel caso dell'udito: timbro, intensità, frequenza, ritmo.

Il passo successivo è la percezione, intesa come attività di riconoscimento della sensazione, sua categorizzazione. Nel caso della vista può divenire un albero, nel caso dell'udito, una parola o un motivo musicale.

In realtà sensazione e percezione non sono passi successivi completamente separati: sono fasi che si succedono in continuazione in loop l'una con l'altra.

Il processo di ricezione degli stimoli dall'esterno è un processo parallelo. Vediamo il mondo che ci circonda mentre contemporaneamente ne udiamo i suoni, sentiamo gli odori, e così via. Ma vi è un limite alle capacità percettive del cervello, vi sono momenti in cui sembra che riusciamo a fare attenzione a una sola cosa per volta. Perciò ad un qualche stadio della fase di percezione, avviene una selezione, che favorisce alcuni input sensori, rispetto gli altri. Portando ad una percezione più accurata. Ad esempio può capitare di vedere un panorama mentre si ascolta della musica, e la percezione uditiva può sfumare mentre la nostra attenzione si concentra sul panorama.

Questo porta al quesito: cosa accade ai segnali che non sono al centro dell'attenzione? Sono persi? O in qualche modo ci influenzano in sottofondo?

Per concludere un excursus riguardo la sindrome dei dolori dell'arto fantasma [1]. Questa è un sintomo che ricorre in tutti i casi di amputazione di un arto. Dopo l'operazione, il paziente è cosciente della mancanza dell'arto, eppure avverte dolori o altre sensazioni dall'arto mancante. Questo perché la percezione dell'arto è "stampata" nella corteccia somatosensoriale. Il fatto che l'arto sia stato rimosso, non ha rimosso la sua immagine nella corteccia somatosensoriale. Corteccia che può reagire a stimoli provenienti da altre parti del corpo che interagivano con quelle mancanti, oppure può ricevere stimoli casuali sulla parte mancante. In ogni caso reagisce come se quella parte fosse ancora presente.

Questo exscursus per ribadire il concetto fondamentale: tutto ciò che conosciamo esiste in quanto modellato nel nostro cervello.

Punti di contatto

In relazione ai nostri sensi, parliamo di punti di contatto perchè è da questi che, letteralmente, tocchiamo il mondo che ci circonda, trasformando la sua energia in nostri schemi mentali.

Questa lezione è focalizzata sulla vista, perchè è il senso più utilizzato per analizzare l'ambiente. Ma i concetti si applicano a tutti i nostri sensi.

Uno schema dell'occhio umano è illustrato dalla seguente immagine [2]:

diagramma schematico dell'occhio umano

Si nota l'iride: è un muscolo che ha la funzione di regolare la quantità di luce che entra nell'occhio. Se l'ambiente è buio, si dilata, allargando il foro centrale per permettere l'ingresso di una maggiore quantità di luce. Se l'ambiente è luminoso, l'iride si contrae, restringendo il foro centrale per diminuire la quantità di luce che entra nell'occhio. E' la stessa funzione del diaframma dell'obiettivo di una macchina fotografica.

La sclera è la struttura esterna, che tiene insieme l'occhio.

La funzione centrale dell'occhio è svolta dalla pupilla, che riceve la luce dall'esterno e la focalizza sulla retina. Questa è il vero punto di contatto, in quanto riceve la luce e la trasforma in segnali nervosi che vengono inviati tramite il nervo ottico al cervello.

La retina è formata da vari strati di tessuto. Il primo strato è fomato da fotorecettori di due tipi diversi: bastoncelli e coni [3]. I coni a loro volta sono di tre diversi tipi, specializzati nella ricezione di diversi colori: rosso, verde e blu. Quando la luce colpisce l'estremità di una cellula fotorecettore, nella cellula avviene una rezione chimica, che trasforma la luce in energia elettrica.

I bastoncelli sono sensibili all'intensità della luce. Mentre, come detto, i coni sono sensibili al colore, ovvero alla lunghezza d'onda della luce. D'altro canto i coni hanno bisogno di una elevata energia per funzionare, mentre i bastoncelli segnalano anche con basse luminosità. Per questo motivo la visone umana funziona a colori e con un elevato grado di dettaglio se l'ambiente è ben illuminato. Mentre se l'ambiente è buio, la visione umana "commuta" prevalentemente in toni di grigio: perché la luce che colpisce i coni non ha abbastanza energia per attivarli, mentre i bastoncelli continuano ad essere attivati.

L'anatomia della retina riflette quanto detto anche da un altro punto di vista. La distribuzione di coni e bastoncelli nella retina non è uniforme. I coni sono addensati nell'erea della fovea, cioè nel punto (centrale nella retina) in cui l'immagine è messa particolarmente a fuoco. Mentre i bastoncelli sono molto più presenti nell'area periferica della retina, dove l'immagine è meno a fuoco. Questa struttura riflette la modalità di analisi dell'immagine: focalizziamo l'attenzione al centro, e di conseguenza lì ci aspettiamo il massimo del dettaglio e dell'informazione (elevata quantità di particolari e il colore). Ma per avere ciò è indispensabile una buona illuminazione. Se l'illuminazione è scarsa, il dettaglio non è disponibile, in tal caso si commuta sui toni di grigio, contemporaneamente allargando l'area in osservazione.

Una osservazione. Esiste un'area nella retina in cui non vi sono fotorecettori, detta punto cieco [4]. Quest'area dovrebbe essere percepita come un piccolo cerchio nero. In realtà questo non accade: il cervello integra l'immagine mancante con i segnali ricevuti dalla retina e dall'altro occhio, costruendo una simulazione di ciò che avrebbe dovuto ricevere.

E' interessante osservare che la retina ha una sezione che è progettata al contrario di come ci si aspetterebbe. Bastoncelli e coni sono posti in fondo al tessuto della retina. La corrente che emettono, ovvero lo stimolo elettrico che deve andare al cervello, risale verso la superficie della retina, tramite i neuroni bipolari e i gangli, che a loro volta raggiungono il nervo ottico, che va al cervello. In pratica la luce attraversa gangli, neuroni bipolari, il corpo di coni e bastoncelli, per arrivare a colpire le loro estremità fotosensibili al termine dello spessore della retina.

L'elaborazione del segnale comincia già nell'occhio. I neuroni bipolari sono sensibili alla presenza di bordi, e li elaborano rendendoli più netti. Questo mette in rilievo gli oggetti che dovranno essere riconosciuti.

Invece i gangli sono sensibili alle tonalità di colore, di cui aumentano il contrasto. Il meccanismo con cui funzionano è piuttosto complesso. Esistono gangli rosso/verde, e gangli blu/giallo. Entrambi emettono costantemente un segnale di fondo che si amplifica in presenza del colore guida (ad esempio il rosso) e si attenua in presenza del colore secondario (il verde in questo esempio). Amplificazione e attenuazione segnalano, intensificandola, la presenza del relativo colore. Tra l'altro presentando anche un effetto di sovrastimolazione. Ad esempio se è presente il colore guida (il rosso, continuando l'esempio), e questo improvvisamente scompare, virando al bianco, il segnale del ganglio non ritorna al valore medio, ma "rimbalza" andando in attenuazione (quindi segnalando il verde per il ns esempio). In questo modo la presenza dei diversi colori viene amplificata.

Un nota a parte meritano i gangli blu/giallo, perché non esistono coni sensibili al giallo. In questi gangli il colore secondario, il giallo, è presente come combinazione dei segnali relativi al rosso e al verde. In tal modo l'occhio costruisce la percezione di un quarto colore, pur avendo solo tre tipi di recettori per i colori.

Percepire; cosa: parte 1

Sensazione e percezione sono diverse. E la percazione può cambiare anche se la sensazione rimane costantemente la stessa. Si pensi ad esempio ad una figura ambigua: si può percepire inizialmente un soggetto, e successivamente interpretare la stessa immagine identificandone un altro.

La percezione è un processo complesso. Si può pensare che inizi cercando di identificare il contorno dell'oggetto, separandolo dallo sfondo. Da cui l'importanza dei bordi (si ricordino i neuroni bipolari e i gangli in Punti di contatto).

Ma la percezione non è un processo meccanico. Coinvolge anche la memoria dalle passate esperienze.

Oltre la percezione dei bordi, è poi necessario definire le relazioni tra oggetti. Quest'area di studio risale al periodo post freudiano, è detta gestalt psycology, ed è stato un tentativo di riappropiasi del metodo scientifico nello studio della psicologia. Sono state definite delle leggi di relazione:

  • prossimità, gli oggetti vengono raggruppati in funzione della distanza reciproca; i più vicini si pensa formino un gruppo separato dai più lontani;
  • somiglianza, in questo caso la formazione dei gruppi è pilotata dalla morfologia degli oggetti, quelli simili sono raggruppati tra loro;
  • continuità, il raggruppamento avviene interpretando le linee come continue invece che spezzate;
  • chiusura, in tal caso il riconoscimento avviene interpretando pezzi della figura secondo un criterio di riconoscimento (memoria) e semplificazione;
  • area, intesa come riconoscimento di una regione chiusa, che può contenere qualcosa;
  • simmetria, preferiamo interpretazioni in cui è presente simmetria nel pattern analizzato.

Un altro importante criterio di percezione è il movimento. Se più oggetti si muovo contemporaneamente, nello stesso modo, allora tendiamo ad interpretarli come raggruppati, formanti un unico oggetto.

Nell'analizzare il pattern, conta anche il contesto. Uno stesso segnale visivo può essere percepito in modi diversi a seconda del contesto in cui si trova.

Percepire; cosa: parte 2

Usate le sensazioni per definire la forma degli oggetti e le relazioni reciproche, è necessario caratterizzare gli oggetti: definire cosa sono.

Questa attività è effettuata dal cervello con una rapidità e facilità tale da nascondere la difficoltà e sottovalutare il suo valore, finché non si incontrano persone che non sono in grado di farlo facilmente.

E questa capacità è in grado di considerare la generalizzazione dell'oggetto [5]. Ad esempio si pensi alle possibili diverse forme di una sedia, che viene comunque riconosciuta come tale. Come si riesce ad ottenere questa capacità di percezione che travalica la forma fisica dell'oggetto? La teoria dei template, avanza delle ipotesi a riguardo.

Ancora più moderna è la teoria della prototipazione, in particolare la prototipazione fuzzy. Questa si basa sulla osservazione sperimentale della capacità degli osservatori di riconoscere alterazioni di una figura come appartenenti alla tipologia del prototipo anche se non avevano mai visto prima gli esemplari mostrati. In pratica, si pensa che il cervello umano "costruisca" una immagine "media" [6] di un oggetto, per confrontarla con ciò che vede successivamente [7]. Ed è in grado di riconoscere e misurare variazioni rispetto l'immagine memorizzata del prototipo.

Inoltre la rapidità di classificazione dell'oggetto, dipende dalla vicinanza (similitudine) dell'esemplare mostrato al prototipo. Più un esemplare è vicino al prototipo, maggiore è la rapidità di risposta dell'osservatore. Ad esempio, se si chiede all'osservatore di decidere se una foto rappresenta un uccello, mostrando una rondine o un corvo si ottine una risposta molto veloce; mostrando un pinguino o uno struzzo, la risposta sarà molto più lenta.

Se questi meccanismi di percezione non funzionano si hanno le sindromi di agnosia visiva. Ovvero l'incapazità di classificare gli oggetti osservati anche se la sensazione visiva funziona correttamente. Si ricodi che questa parte di percezione viene effettuata dalla corteccia associativa.

Un'altra sindrome simile è la prosopagnosia, ovvero l'incapacità di riconoscere i tratti del viso di una persona. I soggetti colpiti da questa sindrome mostrano danni del giro fusiforme [8], che sembra essere la parte di tessuto cerebrale in grado di associare le diverse componenti di un viso (occhi, naso, labbra, ...), formando una figura unica e riconoscibile.

Percepire; dove

Oltre il riconoscimento dell'oggetto, sorge il problema del suo posizionamento nello spazio fisico.

Anche in questo caso il cervello umano è in grado di definire molto rapidamente la traiettoria e la velocità dei corpi in movimento. Si pensi ad esempio alla capacità di analisi del movimento della palla dei giocatori in difesa di una partita di baseball.

Per questa funzione, l'uso di due occhi, invece di uno è di notevole facilitazione. Con un occhio solo siamo comunque in grado di percepire distanze e velocità, ma in modo meno accurato.

Con un singolo occhio, il cervello stima bene la prospettiva, ovvero a che distanza sono gli oggetti l'uno dall'altro (nel senso della profondità). La prospettiva richiede conoscenza e memoria del mondo fisico. Ad esempio: l'ordine di grandezza dell'altezza di una persona.

Quindi se osserviamo un oggetto che aumenta di dimensioni, ne deduciamo che si sta avvicinando a noi, non che sta crescendo di dimensioni.

Inoltre il cervello valuta quanto sono definiti i dettagli degli oggetti osservati. Oggetti vicini sono ben definiti e altamente dettagliati. Oggetti lontani hanno un livello di dettagli basso.

Altro aspetto valutato è il posizionamento delle ombre, che contribuisce molto alla definizione della posizione. Anche questa è una conoscenza del mondo fisico: come gli oggetti sono usualmente illuminati e la relativa ombra.

La capacità di percezione della distanza dell'oggetto dall'osservatore migliora drammaticamente usando due occhi contemporaneamente [9]. Quando puntiamo un oggetto, i due occhi sono orientati entrambi su di esso. Ciò avviene tramite i muscoli che muovono i bulbi oculari. E questi muscoli, mentre muovono il bulbo oculare inviano anche il relativo segnale al cervello, che quindi è in grado di valutare l'angolo formato dai due occhi. Se l'angolo è piccolo, l'oggetto è lontano, altrimenti è vicino.

Inoltre l'uso della stereovisione migliora anche la percezione della posizione relativa tra gli oggetti. Quando mettiamo a fuoco un oggetto, ciò che si trova dietro (o davanti) forma una doppia immagine. Questo perché la luce proietta l'immagine dell'oggetto fuori fuoco in due posizioni diverse nell'occhio destro e in quello sinistro. Anche questo fenomeno, detto dsiparità binoculare [10], viene utilizzato dal cervello per valutare le posizioni relative degli oggetti. La disparità binoculare è poco percepita: sembra che il cervello ricostruisca la scena interpolando le differenze.

Ragionando riguardo le zone del cervello coinvolte: la regione occipitale si occupa della elaborazione delle immagini, mentre la regione parietale è demandata alla conoscenza della posizione degli oggetti nell'ambiente. Quindi sembra che entrambe queste regioni siano coinvolte nell'analisi dello stimolo visivo, anche se con scopi diversi, e i relativi risultati sono integrati per costruire il modello mentale dell'ambiente.

Ancora una nota. Le cosiderazioni fatte riguardano la vista, ma sono ugualmente valide anche per gli altri sensi, ad esempio l'udito. Pure questo utilizza meccanismi per valutare distanze e velocità di movimento delle sorgenti sonore.

Selezione

Quindi in ogni momento il cervello riceve stimoli nervosi da tutti i sensi, e dalla propriopercezione.

Ma la capacità di elaborazione del cervello non è in grado di elaborare con elevata precisione tutti questi stimoli contemporaneamente. Addirittura, pensando ad esempio ancora alla visione: non sembra in grado neanche di seguire contemporaneamente tutti gli stimoli visivi: fissiamo la nostra attenzione su un oggetto per volta.

Quindi vi è una continua opera di selezione. Selezione degli stimoli che devono essere elaborati con priorità. Questa sembra una limitazione del nostro cervello. Il focus é: come avviene la selezione, e che fine fanno i segnali non selezionati?

L'inizio dell'analisi riguardo l'attenzione si fa risalire a Cherry, uno scienziato che si è interessato ampliamente a questo fenomeno: in una festa, con più conversazioni contemporanee, una persona è in grado di seguire una conversazione specifica, escludendo le altre. Ma Cherry ha osservato che, anche se impegnato in una singola conversazione, comunque un ascoltatore sia in grado di percepire segnali dalle altre conversazioni, in particolare percependo il proprio nome [11].

L'affermazione di Cherry è stata studiata in laboratorio con una attività di ascolto dicotica [12]. Questo test consisteva nell'inviare messaggi diversi alle orecchie dell'ascoltatore, chiedendo di prestare attenzione (ripetere) ad un solo orecchio, ignorando l'altro.

I primi esperimenti sembrarono evidenziare una completa perdita del segnale non sottoposto a selezione: tipicamente l'ascoltatore si accorgeva di variazioni in questo segnale solo se avvenivano a livello fisico (cambio di intensità, timbro, ...). Quindi sembrava attirare comunque attenzione solo una forte variazione della sensazione (opposta alla percezione). Questo ha suggerito il modello del filtro precoce [13], ovvero un segnale viene escluso molto presto nella catena di processamento, prima di arrivare alla fase di percezione.

Ma esperimenti successivi hanno messo in discussione questo modello. Ad esempio se nel canale non selezionato si pronuncia il nome dell'ascoltatore, o se si pronunciano oscenità, in queste condizioni l'ascoltatore a volte percepisce il segnale non selezionato.

Inoltre la ricercatrice Anne Triesman ha introdotto una ulteriore variazione: il messaggio ascoltato veniva logicamente interrotto nel canale selezionato, sostituito da un messaggio logicamente non correlato, e veniva logicamente continuato nel canale non selezionato. In queste condizioni l'ascoltatore tendeva a ripetere la frase logica, non le frasi non correlate. Quindi il cervello sembra inseguire con l'attenzione non solo un canale fisico, ma anche la correlazione logica di quanto percepito. Il che porta all'ipotesi che il segnale non selezionato sia comunque processato fino al livello di percezione.

Questa ipotesi è stata rafforzata dall'esperimento di Eich. Nel canale non selezionato passavano parole che davano enfasi a una parola del canale selezionato. Si è osservato che i soggetti tendevano a ricordare le parole messe in enfasi, anche se non ricordavano il segnale che le aveva enfatizzate (perché passava nel canale non selezionato).

Anche l'uso inconscio del linguaggio non verbale da parte dell'ascoltatore tende a rafforzare questa ipotesi. Anche se non ne siamo coscienti, analizziamo i segnali non verbali dando enfasi (o respingendo) le affermazioni verbali del parlatore. Anche qui: un flusso di segnali non selezionato sembra comunque utilizzato fino alla percezione, ovvero in modo praticamente completo.

Consapevolezza di se stessi

Lo studio scientifico della consapevolezza di se stessi ha visto Gorden Gallow come uno dei suoi maggiori fautori.

Si consideri quanto studiato finora. Gli stimoli, le percezioni, hanno lo scopo di permetterci una interazione con l'ambiente che ci circonda. E noi siamo i soggetti consapevoli che effettuano l'interazione verso il mondo circostante. Siamo abituati a pensare ai nostri obiettivi, a cosa desideriamo ottenere. E di conseguenza come ottimizzare le nostre performance al fine di raggiungere i nostri scopi. Quindi il concetto di noi è centrale in quasi tutto ciò che facciamo.

L'interesse di G. Gallow è scaturito dall'osservazione che il concetto di specchio è estremamente raro in natura. E da qui la domanda: come ci si comporta davanti ad uno specchio? Cosa può significare un determinato tipo di comportamento?

Gli uomini hanno creato gli specchi, e li usano per controllare il proprio aspetto: un evidente esempio di comportamento che esprime consapevolezza di se stessi.

Quindi Gordon Gallow e i suoi studenti hanno cominciato a studiare il comportamento di animali di laboratorio in presenza di uno specchio.

I comportamenti osservati dipendono dall'età e dalla specie di animale. E si possono sintetizzare in tre diverse fasi:

  • un animale esposto per la prima volta ad uno specchio, di solito si comporta come se fosse un'altro individuo della stessa specie; questo comportamento sembra standard per tutti gli animali;
  • dopo una certa quantità di tempo, gli animali mostrano abitudine alla presenza dello specchio, tendono ad ignorarlo apprendendo che l'immagine riflessa in realtà non interagisce socialmente con loro; molti animali si fermao a questo livello;
  • alcuni animali, come ad esempio gli scimpanzè, sembrano raggiungono un ulteriore stadio, utilizzando lo specchio per analizzare se stessi, utilizzandolo come uno strumento che riflette la propria immagine.

Gordon ha sviluppato il test dello specchio [14]. Consiste nell'abituare un animale, tipicamente uno scimpanzè, alla presenza di uno specchio. Quando l'animale viene addormentato per subire una piccola operazione, ad es. una cura dentale, si profitta per mettere un grosso punto rosso ben visibile sul viso. Ed osservare il comportamento al risveglio. Tipicamente gli scimpanzè, usando lo specchio, notano il punto, e cercano di interagire per capire di che si tratta.

Questi comportamenti possono essere spiegati con la teoria che questi animali abbiano consapevolezza di se. Sono possibili anche spiegazioni alternative, ma la prima si presenta come molto verosimile. Anche perché non tutti gli animali raggiungono questo livello di utilizzo dello specchio. Ad esempio, i cani tipicamente raggiungono e rimangono al secondo livello. Mentre gli elefanti, molte specie di grandi scimmie, e i delfini passano questo test.

Per quel che riguarda la razza umana, si sono analizzati i predetti stadi con bambini di diverse età.

Il primo stadio sembra tipico dell'infanzia precoce, sino ad un anno, un anno e mezzo.

Subito dopo questa età sembrano tentare di evitare lo specchio, come se li mettesse a disagio: sembrano percepire che il riflesso non è un altro bambino, ma non sanno attribuire un modello alternativo, da cui la sensazione di malessere.

Quanche tempo dopo, tra i 20 e i 24 mesi, sembrano avere elaborato il modello dell'immagine riflessa e passano il test dello specchio. Così come, se gli si mostra allo specchio un giocattolo dietro di loro, si girano per afferralo, non tentano di prenderlo dall'immagine riflessa.

Quindi si deduce che in questa età matura la consapevolezza di se stessi.

Teoria della mente

Definita la consapevolezza di se stessi, esiste un ulteriore livello di modellazione: "l'altro, che immagine ha di me?". Questa capacità di modellare una immagine di se stessi secondo criteri di un'altra persona, è importante per i comportamenti sociali. Permette di estendere la comprensione degli altri, formando gruppi sociali coesi.

La teoria della mente consiste nel capire come una mente possa formarsi un modello del funzionamento di un'altra mente. Quindi abbiamo:

  • primo ordine, coscienza di sè;
  • secondo ordine, coscienza dell'altro;
  • terzo ordine, come l'altro modella me.

Più conosciamo la persona che abbiamo di fronte, migliore sarà il suo modello che saremo in grado di sviluppare.

L'analisi di questa teoria è stata effettuata studiando in laboratorio il comportamento di bambini. Ad esempio con il test delle false credenze [15]. Si mostra ad un bambino una scatola di pastelli riempita con candele. Dopo di che gli si presenta un personaggio che non ha ascoltato la precedente conversazione. Se si chiede al bambino cosa pensa che il personaggio pensi ci sia nella scatola di pastelli, bambini fino ai tre anni di età rispondono: candele. Cioè il bambino estende la propria conoscenza del mondo a chi ha intorno, senza tentare di creare un modello ad hoc delle altre persone.

La capacità di comprendere che la conoscenza di qualcosa cambia da persona a persona, si sviluppa tra i tre e i cinque anni di età. Si ricordi che la conoscenza di se stessi si sviluppa tra l'anno e mezzo e i due anni di età. Ci vuole ancora un anno, o qualcosa in più, perché in un bambino si sviluppi la capacità di capire che un altro può avere un modello si sè diverso dal suo.

Nell'uomo si osserva la tendenza all'aiuto reciproco. Si pensa che la teoria della mente sia alla base di questo comportamento, tramite l'empatia.

Anche esperimenti sugli scimpanzè, sembrano evidenziare che questi animali hanno la capacità di sviluppare una teoria della mente.

Vi sono disagi come l'autismo e l'asperger che sembrano avere difficoltà con la teoria della mente. I soggetti con questi problemi presentano spesso le seguenti caratteritiche:

  • hanno difficoltà a spiegare i propri comportamenti;
  • non comprendono le emozioni;
  • non predicono il comportamento o lo stato emotivo di altri;
  • non comprendono la prospettiva di altri;
  • non comprendono le intenzioni di altri;
  • non comprendono che le credenze influenzano il modo di pensare e/o i sentimenti di altri;
  • hanno problemi nel mantenere l'attenzione verso gli altri e altre convenzioni sociali;
  • hanno problemi nel distinguere la finzione dalla realtà.

Non è chiaro perché questo accada. Si pensa che possa essere dovuto al fatto che molta parte della comunicazione riguardo le proprie convinzioni passi tramite la comunicazione non verbale. E che quest'ultima sia troppo complessa per essere compresa da un soggetto autistico.

Sviluppare una teoria della mente in un bambino che non ha questa capacità è un compito molto arduo. Vi sono delle strategie disponibili, ma sono molto difficili d mettere in atto efficacemente.

Approfondimenti

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Readings


[1]Inglese: phantom limb pains.
[2]Di derivative work: B3t (talk). And Jmarchn. - Schematic_diagram_of_the_human_eye_en.svg, CC BY-SA 3.0,
[3]Inglese: rods e cones.
[4]Inglese: blind spot o optic disk.
[5]Featural variation: variazione dell'oggetto.
[6]Detta prototipo.
[7]Detta esemplare.
[8]Inglese: fusiform gyrus.
[9]Stereovisione.
[10]inglese: binocular disparity.
[11]Fenomeno che Cherry ha chiamato cocktail party phenomenon, ovvero fenomeno del cocktail party.
[12]inglese: dichotic listening task.
[13]inglese: early filter.
[14]inglese: mirror test. Detto anche Rouge test.
[15]inglese false beliefs test.