Created on 26 Feb 2020 ;    Modified on 27 Feb 2020 ;    Translationenglish

Dazi: cui prodest?

Non sono un economista. Sono un semplice ingegnere, eppure non mi posso esimere dal chiedere: "a chi conviene la introduzione dei dazi?" ...

Premessa

Già. É da molto tempo che volevo scrivere questo succinto articoletto.

Articolo che non è il frutto del pensiero di un dotto (o non dotto) economista. Ma solo la considerazione ad alta voce di un banale ingegnere che osserva con curiosità cosa accade nel mondo che lo circonda.

Da dove comincio?

Ma ... dall'America, ovviamente. Si comincia sempre dall'America.

In questo caso, dalla politica economica perseguita dal presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump.

Questo signore, sin dall'inizio del proprio mandato, nel 2017, ha perseguito con pervicacia una politica protezionista imponendo gradualmente (ma neanche tanto gradualmente):

  • tasse alle aziende che avevano la produzione al di fuori del territorio USA,
  • o che importavano prodotti dall'estero;
  • e denunciando unilateralmente precedenti trattati commerciali in corso o in fase finale di trattativa, ritenendoli svantaggiosi per gli USA.

Principali obiettivi dichiarati: costringere le aziende statunitensi a riportare la produzione negli USA, e contrastare l'uso di beni prodotti all'estero. Il tutto per facilitare la ripresa dell'economia USA, minata sempre più dalla concorrenza di nazioni esterne. In particolare asiatiche (Cina, Corea, Giappone ... giusto per citarne alcune) e, in minore misura, europee (in questo caso sopratutto l'industria tedesca).

Cosa osservo?

Le cifre che riguardano l'economia nord americana parlano in effetti di una discreta ripresa, sia come fatturato, che come posti di lavoro.

Ripresa che, in questi ultimi due anni(2018 e 2019) ha registrato (si veda questo: quadro macroeconomico (USA)):

  • un incremento del PIL del 2,9% e del 3,2% rispettivamente;
  • una diminuzione della disoccupazione, che ora si attesta al 3,6% (il livello più basso da cinquant'anni);
  • e un aumento dei salari medi nel settore privato.

Quindi, tutto ok? Ha ragione Trump?

Che ha sbandierato questi dati in lungo e in largo davanti al suo elettorato, e che si appresta ad affrontare e vincere la sua seconda tornata elettorale alla presidenza degli USA [1], nel Novembre di quest'anno 2020.

Non proprio.

La prima cosa che balza all'attenzione, è che l'economia americana è in crescita sin dal 2009. Anche se con tassi inferiori a quelli registrati ultimamente.

Quindi tasse e dazi hanno eventualmente incrementato la crescita dell'economia nel breve periodo. Non è ancora una ossevazione sul lungo periodo (almeno decennale), nè, tantomeno, una inversione di tendenza (da recessione a crescita).

Consideriamo il fatto che imposte e dazi alzano i prezzi nel mercato interno, come testimoniato dal fatto che i consumi nel mercato interno, nel 2019, sono aumentati solo dello 0,8%: un quarto dell'incremento del PIL. Quindi le fasce di popolazione meno abbienti sono svantaggiate e vedono diminuire il loro potere d'acquisto.

Se da un lato questo tipo di azioni incentiva la produzione statunitense, dall'altro deprime il consumo interno, che è il fattore predominante del PIL USA.

Risultato: nel breve periodo, come stiamo osservando, la produzione USA aumenta, favorendo capitani d'industria e finanzieri. Ma nel lungo periodo la depressione dei consumi si farà sentire, tirando al ribasso la produzione e facendo aumentare la disoccupazione.

Perciò?

É un tentativo di strangolare la produzione estera, sperando abbia meno capacità di sopravvivenza a breve termine dell'industria USA. Tanto per capirci: Trump spera che tra qualche anno, le minori vendite di Volkswagen nel mercato americano a causa dei dazi, la indebiliscano più di quanto sarà indebolita General Motors a causa delle minori vendite per l'aumento dei prezzi delle auto prodotte sul territorio USA invece che in Corea.

Da qui, l'importanza di appartenere ad un mercato ampio, qual'è l'Unione Europea. Volkswagen (come una qualunque industria italiana) ha speranza di vincere questa battaglia se può contare su un mercato interno ampio quanto (o più) di quello americano.

Il mercato europeo lo è. Quello di una qualunque singola nazione, salvo la Cina e, parzialmente, l'India, non è in grado di competere con il mercato americano.

Meditiamo sul fatto che lasciare l'Europa in questo momento è economicamente suicida [2].



Enjoy. ldfa


Image by OpenClipart-Vectors at Pixabay.

[1]

A Dicembre 2019 ho avuto modo di parlare con un professore italo americano che lavora come insegnante di inglese qui a Roma. Era rientrato dalla sua solita visita annuale alla famiglia d'origine, a New York.

Ha confermato la mia impressione. Parlando con le persone che conosce a New York, ha maturato la convinzione che Trump vincerà anche le prossime elezioni presidenziali. Con suo dispiacere: è un democratico, non un repubblicano.

[2]

Una considerazione a parte merita la Gran Bretagna. Questa è uscita dall'Unione Europea, ma ancora non mi è chiaro quanto spingerà la separazione da un punto di vista economico. Per ora vi sono dichiarazioni da parte del governo inglese di voler proseguire il partnariato economico. Cosa ragionevole. Bisogna vedere a quali condizioni.

Inoltre, probabilmente, la Gran Bretagna fa affidamento sul Commonwealth per cercare di penetrare un mercato alternativo a quello americano ed europeo.